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Spello

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Scopri Spello, il borgo dai mille colori

Scopri Spello, il borgo dei fiori e dei tramonti mozzafiato. 

Come a guardare l’intera Valle Umbra, Spello è dolcemente adagiata su uno sperone del Monte Subasio e degrada dalla sommità fino alla pianura; l’altro versante del colle troneggia sulla valle del Chiona, affluente del fiume Topino, il cui corso è costellato di querce secolari.
Spello delizierà i vostri occhi. Con i colori dei propri fiori, che popolano le viuzze del borgo, e con quelli degli splendidi tramonti, che fanno brillare gli edifici spellani, costruiti in pietra bianca e rosa del Subasio.

Il centro storico si è sviluppato per secoli sull’originaria impostazione romana e su questa vennero costruite la città medioevale, rinascimentale, pontificia e moderna. E sono tutte distinguibili nell’attuale tessuto urbano. I vicoli di Spello si diramano proprio dagli antichi cardo, che scende a ovest, e decumano, che sale da sud a nord.
In effetti, Spello fu colonia romana ma le presenze più antiche nel territorio risalgono al Ⅶ secolo a. C., come testimoniano numerosi ritrovamenti di insediamenti che si riferiscono a popolazioni umbre. Dopo le devastazioni operate da Ottaviano, rifiorì la romana Colonia Iulia Hispellum. Acquistò, infatti, via via sempre più importanza, soprattutto grazie alla vicinanza della via Flaminia. All’epoca romana risalgono le mura della città e i resti dell’Anfiteatro, del Teatro, di un Tempio e delle Terme; a questo periodo risale anche una bonifica delle paludi nella pianura, che era occupata in origine dal Lacus Umber.

Altro elemento fautore dello sviluppo spellano è senz’altro il cristianesimo: l’imperatore Costantino, infatti, tra il 326 ed il 333 d. C., promulgò un Rescritto in cui proclamava la città Santuario Fedele.
Dopo la caduta dell’Impero d’Occidente iniziò una profonda crisi. Peggiorò con l’invasione di Attila e quella di Totila re dei Goti, fino ad arrivare alla distruzione perpetrata dai Longobardi. Spello iniziò a risorgere in epoca comunale. La città divenne densamente abitata, tanto che fu divisa nei tre Terzieri di Pusterola, Mezota e Porta Chiusa (o Borgo). Le tre aree a forma di ellisse che discendono dalla porta dell’Arce, il punto più elevato, al Borgo; sviluppandosi sempre di più, il borgo si estese fino fuori Porta Venere.

Nel corso della sua storia, Spello subì pressioni da parte delle città vicine, come Perugia, Assisi e Spoleto e divenne gastaldato di quest’ultima. Nel ⅩⅢ secolo fu più volte danneggiata. Federico Ⅱ la rase al suolo, distruggendo anche la chiesa di San Lorenzo con l’archivio e la sagrestia.
Verso la fine del ⅩⅣ secolo entrò nell’orbita della più importante casata dell’Umbria del tempo: i Baglioni, che arricchirono enormemente Spello con importanti committenze architettoniche ed artistiche, come la cappella Baglioni, affrescata dal Pinturicchio, nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Nel 1583 la città tornò sotto l’egida della Chiesa e per essa iniziò un lunghissimo periodo di decadenza, che peggiorò progressivamente. Fino al colpo di grazia: un terribile terremoto che nel 1832 distrusse l’intera città. Soltanto negli anni Sessanta, grazie all’industrializzazione, Spello poté rigermogliare fino a divenire, oggi, fiore all’occhiello dell’Umbria.

Spello è uno dei Borghi più belli d’Italia, ma è soprattutto Città dell’Olio, e ve ne accorgerete non appena varcherete la sua soglia. Infatti, la Porta Consolare, l’ingresso principale del paese, è affiancata da una Torre medievale, sulla cui sommità svetta una secolare pianta d’olivo. L’olivo rappresenta da millenni un punto di riferimento per la comunità spellana. Tutt’oggi condiziona le dinamiche sociali, economiche, paesaggistiche, culturali della città; qui si coltiva il moraiolo, dal quale si ricava un olio extravergine fruttato con aroma amaro e piccante.
Spello vive in simbiosi con la natura. Anche dal punto di vista eno-gastronomico. Le ricette locali sono semplici e tradizionali, basate sui prodotti genuini coltivati negli orti o presenti nei vicini boschi: asparagi, tartufo nero e, ovviamente, la bruschetta, ossia pane cotto a legna con aglio e olio.

Il calendario degli eventi di Spello è denso. La vivace comunità organizza iniziative disseminate in tutto l’arco dell’anno. Di certo il giorno più importante dell’anno per gli spellani è il Corpus Domini, quando la città diventa un meraviglioso prato fiorito. Tutti quanti infatti partecipano alla realizzazione dei “tappeti” e “quadri” di fiori che si sviluppano per 2 km lungo le vie della città e rimangono esposti fino al tramonto; la preparazione all’”infiorata” del Corpus Domini inizia sei mesi prima e viene curata fin nei minimi particolari. I decoratori, capeggiati dal mastro infioratore, sono un migliaio e ogni anno le Infiorate attirano da 50/80.000 visitatori. Spello è da alcuni anni città leader dell’Associazione Nazionale “Città delle Infiorate” e molti maestri spellani ne organizzano alcune in giro per l’Italia e all’estero.

Gli altri due eventi cardine della città sono Hispellum, che durante la terza settimana di agosto rievoca il “Rescritto di Costantino” del 336 d. C., attraverso riti, cortei, banchetti e battaglie tra gladiatori. E l’Oro di Spello, che si tiene la terza settimana di novembre e racconta la tradizione contadina di Spello e dell’olio, il suo più prezioso prodotto; Oro di Spello è inoltre inserito nella rassegna regionale “Frantoi Aperti”.
Spello vi offrirà molte altre opportunità di svago. Oltre alla rassegna del Teatro Comunale Subasio e alle numerose mostre e convegni organizzati nel Palazzo Comunale, troverete i cosiddetti “altri petali di Spello: il Festival del Cinema tra febbraio e marzo, “Finestre, balconi e vicoli fioriti” a maggio, la rassegna del Grechetto, vitigno locale, a luglio e, per tutta l’estate, “Incontri per le strade”, una manifestazione che unisce musica, danza, teatro e arte con esibizioni nelle piazzette del centro storico.

Scopri con noi cosa vedere a Spello. 

Spello conserva intatta da secoli l’identità sua e di tutta l’Umbria; riportando le parole dello storico dell’arte Cesare Brandi, “fermarsi a Spello è come prendere un aperitivo dell’Umbria.”
Exploring Umbria vi propone un itinerario di visita della città che parte da Porta Consolare e arriva fino al Belvedere. Oltrepassando la suddetta porta, vi troverete nel Terziere Porta Chiusa, con i caratteristici vicoli fioriti e le case-torri. Percorrendo la via Consolare, potrete ammirare l’Oratorio di San Bernardino, sede del più antico ospedale di Spello, nato nel 1374.

Salendo ancora, vedrete la Cappella Tega, affrescata da Niccolò di Liberatore detto l’Alunno e dalla bottega folignate del Mazzaforte nel 1461, e arriverete fino al sagrato della chiesa di Santa Maria Maggiore, la principale della città. Al suo interno si trova la Cappella Baglioni, insieme ad altri affreschi del Pinturicchio e preziosi manufatti artistici. Proprio adiacente alla chiesa è allestita la Pinacoteca Civica, che conserva opere datate dal ⅩⅡ al ⅩⅩ secolo.

Ascendendo ancora giungerete alla chiesa romanica di Sant’Andrea, con affreschi trecenteschi e quattrocenteschi di scuola umbra. Dopo via Cavour, si arriva al cuore della città, piazza della Repubblica. Qui si affacciano il duecentesco palazzo Comunale, la Rocca Baglioni e la chiesa di San Filippo. Camminando per via Garibaldi, arriverete a Largo Mazzini, dove si erge la chiesa di San Lorenzo Vescovo e Martire, seconda collegiata della città.
Vi consigliamo di imboccare Via Giulia e continuare a salire; al suo termine troverete la chiesa di Santa Maria di Vallegloria. Attraversando poi la Porta dell’Arce, arriverete nella parte più alta di Spello: il Belvedere.

Recatevi verso Porta Venere con le maestose Torri di Properzio e raggiungete i resti dell’Anfiteatro e la chiesa di San Claudio. Vi consigliamo di riprendere la via Centrale Umbra per visitare la chiesa di San Ventura, vicina ai giardini pubblici. E terminare la vostra passeggiata presso piazza Kennedy (o piazza del Mercato). Vi suggeriamo ora di allontanarvi dal borgo per visitare alcuni importanti siti, come quello in località Sant’Anna, dove è stata ritrovata una imponente villa romana con oltre 400 mq di pavimenti a mosaico. O ancora Villa Fidelia, sulla via Centrale Umbra, la chiesa di Sant’Anna e altre chiese suburbane.

La chiesa di San Biagio è una modesta ma interessante testimonianza storico-artistica di Spello. Sorge su Via Giulia ed è dipendente dalla parrocchia di San Lorenzo. Costruita probabilmente a metà Duecento, fu sede di un ospedale retto da laici, che discendevano dal fondatore. Non si hanno molte notizie riguardo tale istituzione: i primi documenti risalgono al 1430, mentre dopo il 1460 vanno via via scarseggiando.
Gli ultimi interventi di restauro sono del 1979 e furono volti al consolidamento della struttura e al mantenimento dell’aspetto originario. La chiesa è stata costruita con calcare bianco-rosa del monte Subasio, presenta una semplice copertura a capanna ed è a pianta rettangolare con grande capriata al centro del solaio.
La decorazione interna non è sicuramente attribuibile ad artisti di grande fama ma, date le sue ristrette dimensioni, l’impianto pittorico non è affatto povero. L’edificio conserva due affreschi ricondotti alla mano di Bartolomeo da Miranda, pittore di scuola spoletina, che lavorò a Spello nel secondo quarto del XV secolo; sull’altare maggiore noterete una pala seicentesca e ancora resti di affreschi sulle pareti di maestranze locali.

La chiesa di San Fedele appartiene alla proprietà di Villa Fidelia, vi si accede da Via Centrale Umbra, pochi passi prima dell’ingresso alla Villa, oppure mediante l’accesso secondario che si trova accanto al centro visite. La sua posizione è in asse con il sacello occidentale, quello di Giove, indi per cui è ritenuta un’area sacraria preesistente che potrebbe essere identificata con il tempio della Gens Flavia, voluto da Costantino e innalzato dopo il 326 d. C.
Secondo Taddeo Donnola questo fu il luogo del martirio di San Fedele, santo da cui la chiesa e la Villa prendono il nome, mentre la tradizione vi voleva deposto il corpo di San Felice, patrono di Spello e di Giano dell’Umbria.
Quando l’area di Villa Fidelia fu acquistata dall’ingegnere Decio Costanzi, anche la chiesa subì modifiche ad opera dell’architetto Cesare Bazzani: l’edificio venne reso più corto e vi si costruì una graziosa facciata. Fu riaperto al culto l’11 maggio 1935.
L’interno di San Fedele è mutato rispetto all’origine e oggi si presenta spoglio e malridotto. Nella parete sinistra vi sono segni del distacco di un affresco, mentre in quella opposta vi è un affresco di San Felice del XVI secolo.
Nel 1911 la chiesa, che allora apparteneva al folignate Sante Ubaldi, fu dapprima restaurata e in seguito riaperta al culto; dalle cronache sappiamo che l’evento fu celebrato con una grande processione che, al suono delle campane, arrivò a San Fedele dalla chiesa di San Lorenzo.
Era inoltre costume delle madri recarsi dal santo protettore ad invocare la guarigione per i propri bimbi malati: vi erano infatti conservati numerosi ex voto, testimonianze delle grazie ricevute.

La chiesa di San Martino è un piccolo edificio armonioso ed equilibrato, perfettamente inserito all’interno di un delizioso quartiere medievale spellano, in pieno centro storico. Probabilmente fu fondata tra l’XI e il XII secolo dagli abitanti del terziere Pusterula in onore del vescovo di Tours, anche se le prime notizie riguardo la chiesa sono di molto successive, intorno al 1333-34. L’edificio, una delle chiese “povere” di Spello, si ritiene abbia avuto due distinte fasi di costruzione: la prima tra la fine del XI e gli inizi del XII secolo, alla quale si deve l’impostazione architettonica dell’edificio, risolto secondo un modello romanico, con copertura a capanna e spioventi inclinati.
Alla seconda fase viene ricondotto lo spostamento del campanile, che in origine terminava a vela sulla facciata, mentre oggi si erge nella zona absidale; inoltre venne rifatto il tetto e furono realizzati tre arconi trasversali interni, rimaneggiati nel secolo scorso.
Oggi la chiesa è chiusa, fatta eccezione per alcune cerimonie o mostre di artisti locali e si presenta con una semplice facciata in pietra bianca locale e una porta d’accesso inquadrata da due ghiere, una bianca e una rossa; nella parte superiore vi è una bifora con capitello a giglio. La pianta è rettangolare e all’interno le pareti, divergendo, creano un illusorio ampliamento della profondità. In fondo è l’abside, con un altare ricomposto nel 1971 con reperti archeologici e parti originali, e dietro si apre la piccola porta della sagrestia.
L’impianto pittorico è fortemente danneggiato: in una nicchia sulla sinistra un affresco raffigurante San Martino che dona il mantello al povero e sopra un affresco staccato con San Sebastiano, entrambi del XV secolo. Sotto vi è la lapide di Gaetano Franceschini, che scelse San Martino come luogo di sepoltura.

San Ventura, spellano appartenuto forse alla famiglia degli Spellucci, nacque alla fine del XII secolo e aderì all’Ordine ospedaliero dei Crociferi. Secondo la tradizione, nella seconda metà del XII secolo, forse nel 1195, fondò a Spello una chiesa intitolata alla Santa Croce, con convento e ospedale annessi, dove trascorse tutta la sua vita dedicandosi a poveri e ammalati. Qui venne sepolto e già nel 1265 la chiesa aveva cambiato intitolazione e preso il nome di San Ventura; ancora oggi i malati di ossa accorrono a venerare il loro santo patrono, che proprio per la sua vicinanza agli storpi, viene ritratto con una gruccia in mano.
La chiesa di San Ventura si trova di fronte alla Porta Urbica e attualmente è un oratorio dipendente dalla chiesa di Sant’Andrea. Taddeo Donnola, storico spellano, ci informa che la chiesa subì ingenti danni, mentre il convento e l’ospedale furono interamente distrutti dal passaggio di truppe militari nella metà del XVI secolo. Al 1625 invece risale un restauro voluto dal nobile Cambi, che mutò l’aspetto della chiesa con l’eliminazione del timpano.
Nel 1656 l’ordine dei Crociferi italiani fu soppresso e la chiesa passò nelle mani dei Frati Minori di Sant’Andrea; divenne magazzino per cereali durante la Seconda Guerra Mondiale e fu infine restaurata nel 1960. Quest’ultimo intervento consolidò l’intera struttura e aggiunse le lesene e la trabeazione, oltre a permettere il restauro di molte opere d’arte; nel 2001 è stato restaurato l’affresco della Predica di San Feliciano a Spello.
La chiesa è a doppio spiovente con campanile a vela; la facciata ha quattro finte colonne con timpano sovrastante, un semplice portale e due piccole finestre del viandante attraverso le quali si poteva vedere la tomba di San Ventura anche quando la chiesa era chiusa. La parete di destra dell’edificio è più alta della sinistra poiché il terreno ha un forte dislivello. All’interno vi è un’unica aula con il presbiterio leggermente sollevato; la parete di fondo è rettilinea e presenta due accessi alla sacrestia.
Oltre ad una bellissima cantoria in legno dipinto sulla controfacciata, la chiesa conserva numerose opere d’arte: sulla parete destra un affresco con San Feliciano e tele ad olio attribuiti a Cesare Sermei (XVII secolo), un affresco di San Ventura con la cruccia e un libro in mano di scuola umbra (fine del XIV secolo). Nella parete d’altare si può ammirare un tabernacolo ligneo con una Deposizione e due Angeli e Madonna allattante dipinti; nell’altare maggiore è conservato il Sarcofago di San Ventura, forse risalente al XII secolo. Nella parete di sinistra è raffigurata l’Apparizione della Croce con un’interessante veduta di Spello agli inizi del XVII secolo; e poi ancora affreschi di scuola umbra cinquecenteschi e tele di Sermei. Sono inoltre conservati in chiesa due dipinti, una Madonna di Lourdes e un San Ventura, datati 1887 e ad opera di G. Barbi.

La chiesa di Santa Maria del Mausoleo si trova lungo la strada che da Spello porta a Cannara, a un km circa dalla città; attualmente chiusa, viene aperta solamente per celebrazioni occasionali. La struttura della chiesa ingloba resti di un monumento sepolcrale di epoca romana, scoperto nel 1300 come documentato da Fausto Gentile Donnola, il quale scrive che in origine doveva configurarsi a forma di torrione; il mausoleo fu eretto come sepolcro di qualche console di quella che era la Splendidissima Colonia Julia di Spello e ne permangono resti nella parte posteriore della chiesa.
Questa risale invece al XV secolo e attorno alla sua fondazione circolano alcune leggende. Vista la posizione del mausoleo su un crocevia di strade, i cristiani dei dintorni fecero dipingere nella nicchia maggiore una Madonna col Bambino. Il mausoleo era divenuto in quegli anni luogo di refrigerio e riparo dalle intemperie per gli uomini che stavano a guardia delle vigne, che spesso vi giocavano all’interno; si narra che uno di essi, adirato per aver perso, scagliò un colpo contro l’immagine della Madonna, ritenendola colpevole della sua sfortuna: il volto della Vergine sanguinò e i guardiani morirono tutti miseramente.
Il luogo divenne in breve tempo meta di pellegrinaggi e vi si compì un miracolo nel 1592 quando un povero fanciullo chiese del pane all’immagine della Madonna, e ne ottenne. Così nel 1595 fu edificata la chiesa grazie alle elemosine che ammontavano a 3.000 scudi, cifra incredibile per quei tempi.
L’importanza del santuario crebbe e vi fu anche costruita una casa per cappellani; nel Novecento, però, a seguito della costruzione della chiesa di Limiti, Santa Maria di Mausoleo fu dimenticata e l’annessa casetta venne demolita.
La chiesa è costruita in mattoni e pietra, divisi da lesene nella facciata; ha copertura a capanna e un campanile a vela. L’interno, a pianta rettangolare, si presenta a una navata con sei cappelle sui lati lunghi: la prima a destra è dedicata a San Giorgio e vi rimangono resti di decorazione in stucco. Dietro l’altare maggiore emergono resti di una pavimentazione romana e, in una nicchia, è visibile l’immagine della Madonna a cui la chiesa è dedicata. Da Santa Maria proviene una tela raffigurante la Madonna in trono col Bambino e Santi, risalente al XVI secolo e oggi conservato presso la chiesa parrocchiale di Santa Croce in Limiti.

L’eremo di Santa Maria del Paradiso è oggi un edificio abbandonato ben visibile lungo la strada che da Spello sale fino a Collepino, in località Paradiso. Il complesso è ricordato per essere stato sede di un bizzoccaggio femminile fino alla metà del XIV secolo: qui dunque quattro monache spellane, appartenenti all’ordine dei penitenti, scelsero di ritirarsi a vita ascetica e povera, in protesta contro il lusso dell’alto clero.
La congregazione fu fondata il 30 giugno 1296 da Simone di Leonardo detto il Rosso, che donò loro una sua abitazione con la volontà che vi venisse presto affiancata una chiesa dedicata alla Vergine Maria; le bizzocche erano infatti devote al culto della Vergine. Queste, che inizialmente seguivano la regola agostiniana, nel 1325 passarono all’ordine di Santa Chiara, non volendo comunque rinunciare alla condizione bizzoccale e alla proprietà privata: continuarono perciò ad amministrare il loro patrimonio e a vendere nelle fiere o a privati i lavori in canapa e lino, trattenendo parte del ricavato. Presso il monastero, infatti, venivano coltivate piante industriali e cereali vari come orzo, miglio e grano, oltre a vigneti e oliveti; alcuni terreni, acquisiti con il passare degli anni, vennero dati in affitto.
Secondo lo storico locale Donnola, le monache di Santa Maria del Paradiso si unirono a quelle dei monasteri di Santa Margherita e San Giacomo nello stesso periodo in cui le suore di Vallegloria “vecchio” abbandonarono il proprio convento. Si trasferirono nei pressi di Spello, in località Prato, a metà del XIV secolo e nel 1462 la loro fondazione religiosa fu soppressa. Santa Maria del Paradiso divenne proprietà del priore di San Lorenzo, Benedetto Urbani e fu in seguito venduto, mentre le monache si insediarono nel complesso di Santa Chiara, dentro le mura della città.
Alla fine, l’ex monastero in località Paradiso divenne casa colonica e rifugio per il bestiame.

Le prime notizie risalgono al 1178 e riguardano una chiesa intitolata a San Rufino che godette di una certa considerazione in età medievale, in quanto il santo titolare era uno dei patroni del Comune di Spello. La chiesa dipendeva dall’abbazia di San Silvestro di Collepino, appartenente all’ordine dei Camaldolesi; all’inizio del XVI secolo diventò la sede dei Disciplinati di San Girolamo, i quali giungevano dalla chiesa di Sant’Ercolano. Nel 1564 entrò nelle proprietà della chiesa di Santa Maria Maggiore.
Alla fine del XVI secolo furono intrapresi lavori di riordinamento della piazza e vi fu costruita sopra un’altra chiesa, dedicata inizialmente a San Rocco, che fu poi intitolata a San Filippo quando arrivarono i frati di tale ordine nel 1640. Negli anni la chiesa subì alcune modifiche, fino ad essere destinata, negli anni Ottanta del secolo scorso, a sede delle Poste. Dell’antica chiesa di San Rufino possiamo vedere ormai solamente le mura perimetrali, in particolare quello di destra e la parete di fondo, inglobati nel fabbricato delle Scuole Medie, e quello di sinistra corrispondente al muro dei Bagni pubblici; all’interno sono ancora visibili le due navate coperte da una volta a crociera poggiante su pilastri. Segni dei lavori che condussero alla costruzione di San Filippo, permangono sulla facciata dell’attuale Ufficio Postale.

L’oratorio, collocato in Via Consolare, fu sede di un ospedale del comune di Spello e dal XV secolo fu destinato ad ospitare la Confraternita del Buon Gesù, che dirigeva l’istituzione assistenziale. La congregazione, secondo le Cronache degli Olorini, fu fondata nel 1444 proprio da San Bernardino da Siena durante una sua predica in San Lorenzo. L’ente fu soppresso nel 1571, per volere del visitatore apostolico, per via dello sperpero di beni e denaro. Oggi l’edificio è di proprietà privata e viene utilizzato per usi laici.
La struttura è stata colpita dal terribile terremoto del 1882 e, in seguito ai danni, la facciata venne arretrata: questa presenta un portale archiacuto sormontato da una monofora. I battenti dell’antico portale, che risale al XV secolo, sono conservati nell’atrio della chiesa di Santa Maria Maggiore. Sul timpano è affrescata un’immagine di San Bernardino che è stata staccata dalla facciata originaria e sovradipinta sull’affresco più antico nel 1942 da Benito Balducci.
All’interno dell’ex oratorio sono conservati affreschi di scuola umbra del XVI secolo: per uno di questi, raffigurante una Madonna con Bambino fra San Girolamo e San Bernardino, è stato avanzato il nome di Andrea d’Assisi, detto l’Ingegno. Tale affresco, assieme alla finta parasta della cornice che lo inquadrava, sono stati staccati dopo il 1903 dal restauratore Giuseppe Colarieti Tosti e trasferiti dapprima nella Cappella del Crocifisso in Santa Maria Maggiore, e successivamente, nella Pinacoteca Civica, dove si trovano attualmente.

Fonte Bregno è la più alta in quota tra le sorgenti del Subasio (1028 m) ed è divisa tra i Comuni di Assisi e Spello, che se la contesero sin dal Medioevo. È raggiungibile attraverso un sentiero escursionistico che parte dalla chiesa della Madonna della Spella, percorribile anche da persone con disabilità motorie. La fonte è inoltre dotata di un piccolo rifugio con camino e di una piccola area attrezzata per pic-nic e bivacchi.
Il nome trae origine dalla sua funzione di abbeveratoio per animali (“bregno” o “truogolo”) e ha origine longobarda; nei documenti del XVIII e XIX secolo viene chiamata “Bregnole” o “Bregnola”. Proprio perché punto strategico per l’abbeveraggio degli armenti che pascolavano sulla cima del monte, Fontebregno fu aspramente contesa tra Spello e Assisi, fino alla risoluzione del 1772, su sentenza di Monsignor Tiberio Soderini, che definiva i confini delle aree comunali a vantaggio della città serafica e che fu imposta come atto di concordia di papa Clemente XIV, su istanza del comune di Assisi.
La fonte aveva tre bocchette ed era costituita da un alto parapetto e brevi ali laterali; vi era inoltre una lapide murata sul prospetto, che commemorava la sentenza del cardinale Soderini, la quale ordinava che i comuni di Spello e Assisi avrebbero dovuto provvedere congiuntamente agli eventuali restauri futuri della fonte. Questo perché le due gallerie filtranti che convergono nell’opera di presa sono realizzate, una nel comune di Assisi e una nel comune di Spello. Oggi la fonte, restaurata nel 2012, è dotata di due bocchette e in corrispondenza di quella sinistra, è collocata una scultura di Fiorenzo Bacci, che raffigura la Ninfa guaritrice delle acque del Subasio: questa, che rappresenta dunque un omaggio all’acqua, fa parte di una serie di opere dedicate ai quattro elementi (terra, vento, acqua, fuoco) che sono distribuite all’interno del Parco del Subasio.

La cinta muraria di Spello è una delle più importanti testimonianze dell’età romana che ci consente di ricostruire per intero il tracciato che avvolgeva l’antico centro storico. Si estende per circa 1 chilometro e 800 metri da nord a sud ed è di forma allungata. Purtroppo nella parte nord-orientale non è più identificabile, ma tra i versanti sud-orientale e occidentale ne è conservata oltre la metà. Le mura sono costruite con piccoli blocchi di pietra calcarea rosa del Subasio, di forma rettangolare, squadrati e disposti secondo la tecnica dell’opus vittatum; il nucleo più interno è invece realizzato in opus coementicium e le porte sono costituite da grossi blocchi di calcare grigiastro.
La cinta muraria risale al 30/20 a. C. ed è un’opera di evergetismo dell’imperatore Augusto, che fu poi restaurata in epoca tardoantica. Per la monumentalità e la qualità estetica dell’opera, è molto probabile che le mura siano state costruite più per abbellire la città ed enfatizzare l’età di Augusto, che per difenderla.
Lungo il tratto di mura si conservano oggi tre posterule, passaggi pedonali tra l’interno e l’esterno della città, e cinque porte romane: Porta Venere, Porta Urbica e Porta Consolare nella parte meridionale, Porta di Augusto e Porta dell’Arce presso la Rocca. Si tratta sicuramente di una delle strutture fortificate meglio conservate in Italia.

Palazzo Baglioni sorge in piazza della Repubblica, accanto al palazzo Comunale di Spello; in origine si estendeva fino a Via Seminario Vecchio e Via della Liberazione. Ingloba la preesistente Rocca Albornoziana, o Cassero, che fu costruita nel 1358 per volontà del rettore del Ducato di Spoleto, Filippo D’Antella, nell’area prima occupata dall’Oratorio dei Raccomandati di Santa Maria della Misericordia. La rocca rientrava nel progetto di fortificazioni delle terre della Chiesa, fortemente voluto dal papa e affidato al cardinale Egidio Albornoz, il quale, proprio in Italia centrale, diede il via alla costruzione di numerosissime roccheforti nelle città più importanti, al fine di centralizzare e consolidare il potere dello Stato pontificio.

Quando, con l’inizio del dominio dei Baglioni a Spello, questi si trasferirono in città, Adriano Baglioni fece intraprendere, tra il 1561 e il 1564, lavori di modifica dell’edificio per trasformarlo in residenza nobiliare: su progetto di Battaglia di Pietro e Filippo di Giacomo fu così mutato l’aspetto del fabbricato e in particolare, l’altezza del maschio fu abbassata.
Altri lavori si ripeterono per tutto il XVI e il XVII secolo, poiché la rocca e il palazzo furono adibiti a dimora del governatore apostolico, prigione e infine sede del seminario San Felice; ulteriori interventi si susseguirono all’indomani del terribile terremoto del 1832. Purtroppo, alla luce delle numerose mutazioni e rimaneggiamenti, oggi rimane ben poco del complesso originario e i resti sono visibili sia in Via Seminario Vecchio, che in Via della Liberazione, mentre si è totalmente perduto il muro cinquecentesco che collegava i due prospetti della struttura.

Anche l’interno ha subito variazioni, ma fortunatamente rimangono alcuni affreschi e decorazioni. La sala sicuramente più interessante è quella del Governatore, al piano terra: molto bello il soffitto in formelle decorate con motivi geometrico-floreali e con il grifo, simbolo di Perugia, e poi le pareti affrescate con figure femminili reggi-trave e alcune vedute della Valle Umbra. Non si conosce la datazione e l’autore degli affreschi, ma si individuano somiglianze con il ciclo della Sala degli Zuccari nel Palazzo Comunale.

Il Palazzo Comunale di Spello fu eretto in piazza della Repubblica nel 1270 su progetto di Mastro Prode, sotto il governo del podestà Giacomo del Mastro; lì dove molto probabilmente esisteva già un palazzo. L’aspetto dell’edificio, con la caduta dei Baglioni, subì diverse modifiche a fine Cinquecento e poi ancora nel XVII secolo, quando la struttura venne allungata sul lato orientale e alzata di un piano. Le sembianze odierne sono il risultato dei lavori del 1939, ai quali si aggiunse il restauro che seguì il terremoto del 1997. Oggi, pur essendo sede di alcuni uffici comunali, viene utilizzato come edificio di rappresentanza con sale conferenze e spazi in cui vengono allestite mostre.
Al piano terra possiamo ammirare due archi ogivali che introducono all’antica loggia del palazzo, la quale ospita una lapide in ricordo degli 86 caduti e 14 dispersi spellani della Prima Guerra Mondiale: è opera dell’artista Benvenuto Crispoldi e raffigura la Patria. Sopra la loggia si possono osservare le tre bifore romaniche tamponate, due su Via Garibaldi e una sulla piazza, sormontate da eleganti capitelli. Nel lato del porticato era presente una scala rampante, che nel XVI secolo fu demolita; al suo posto fu costruita la fontana di papa Giulio III Del Monte, una vasca accompagnata da due colonne ioniche, una trabeazione con decori a festoni e quattro stemmi, tra cui quello di papa Giulio III. Sopra la fontana possiamo vedere un’Annunciazione novecentesca danneggiata, mentre in cima all’edificio scorgiamo la torre con l’orologio della comunità.
Il Palazzo Comunale ha oggi tre piani accessibili, con un totale di 26 sale interne. Entrando nell’atrio del palazzo, potremo ammirare la raccolta murata di reperti archeologici romani, mentre proseguendo la visita, incontreremo la Sala delle Volte, nel Quattrocento sede del Monte di Pietà e oggi adibita a mostre temporanee, la Sala dell’Editto, che contiene il Rescritto di Costantino ed è decorata con meravigliose vedute di Spello ad opera del pittore ottocentesco Gaetano Pompei di Amandola, la Sala Petrucci, la Sala degli Stemmi, con l’albero genealogico delle famiglie spellane più importanti a partire dal XVI secolo, e poi il Fondo Antico, che custodisce 4000 volumi circa, tra cui un prezioso incunabolo stampato a Venezia nel 1474. Certamente la stanza più importante è la Sala degli Zuccari, con il magnifico ciclo di affreschi del XVI secolo, precedentemente attribuito a Federico e Taddeo Zuccari e oggi ricondotto ad Ascensidonio Spacca, detto il Fantino.
Di grande importanza è la Collezione Permanente “Emilio Greco”, allestita al secondo piano del palazzo, incentrata sulle molteplici sfaccettature dell’universo femminile.

Palazzo Urbani-Acuti, anche chiamato Cruciani, sorge su Via Garibaldi e fu uno dei principali edifici privati di Spello. Venne costruito intorno al 1602 dalla nobile famiglia spellana Acuti-Urbani, ampliando caseggiati retrostanti, e fu per secoli dimora di famiglie patrizie: nel 1620 passò nelle mani dei Monaldi, nel 1718 dei Grillo-Pamphili e infine dei Cruciani nel 1769. Nel 1940 fu venduto al vicino Collegio Vitale Rosi per poi diventare proprietà del Comune.
Palazzo Cruciani subì diverse trasformazioni, legate al gusto delle famiglie nobili che vi dimoravano; oggi si presenta a quattro piani ed è di chiara impronta barocca. La complessa struttura ruota attorno alla corte, resa più ariosa dalle grandi vetrate dell’ala orientale e ospita un pozzo d’epoca decorato a mascheroni, raffiguranti anche l’emblema araldico fatto porre dagli Urbani-Acuti. Molto raffinato è il ballatoio a copertura lignea, che si sviluppa a sinistra del cortile e dal quale si gode di una magnifica vista.
All’interno, il piano terra è decorato con allegorie seicentesche affrescate sulla volta a botte, di ignoto autore e datate 1602, così come le decorazioni delle scale e del piano nobile. L’ambiente principale è la Sala delle Quattro Stagioni, al primo piano, che oggi ospita le riunioni del consiglio comunale. Sulla volta sono raffigurate le Quattro Stagioni, mentre sulle pareti, a motivi con candelabre, si alternano le iniziali del committente Giovanni Cruciani, la data di esecuzione delle pitture (1890) e la firma dell’artista Gaetano Pompei di Amendola.

La Pinacoteca civica di Spello ha ufficialmente aperto il 6 agosto 1994. Fu il priore Luigi Pomponi a mettere insieme il primo nucleo di opere. Nel 1916 iniziò a raccogliere le opere più importanti della chiesa di Santa Maria Maggiore, di cui era titolare, e di altre chiese, nella cappella del Salvatore all’interno della collegiata; a tale raccolta si aggiunsero anche le opere del Comune di Spello e della Congregazione di Carità. Pomponi si occupò personalmente della Pinacoteca fino agli anni Sessanta. Mentre negli anni Ottanta nacque l’Associazione Pinacoteca Civica di Spello, che portò all’individuazione della sede museale, che è, ancora oggi, Palazzo dei Canonici, edificio attiguo a Santa Maria Maggiore, costruito nel 1542.

Altra personalità fondamentale per lo sviluppo del museo è Benvenuto Crispoldi. Pittore spellano attivo tra il 1886 e il 1923, e primo sindaco socialista della città, lasciò in eredità le sue opere all’amministrazione.
La Pinacoteca di Spello conserva pregiate opere di oreficeria gotica e barocca, paramenti sacri, sculture lignee policrome, dipinti su tavola, tele e affreschi staccati, che vanno dalla fine del XIII secolo al Settecento. Sono tutte preziose testimonianze dell’attività artistica locale e dei rapporti intercorsi fra Spello e gli altri centri artistici umbri, come Spoleto, Perugia e Foligno.

Il percorso museale si articola in sette sale. Nelle quali spiccano una Madonna lignea scolpita negli inizi del Trecento, la Croce Astile in argento dorato di Paolo Vanni datata 1398 e il Gonfalone della bottega folignate dei Mazzaforte. Insieme alla Madonna col rosario di Ascensidonio Spacca. Potrete inoltre ammirare, nella sala 5, alcuni pannelli della cantoria di Santa Maria Maggiore, dipinti alla fine del Cinquecento da Zaccaria di Filippo Mazzola; dalla medesima chiesa proviene anche il trittico del Maestro dell’Assunta di Amelia, una tempera su tavola della fine del XV secolo. È collocato nella stessa sala della Madonna con Bambino, attribuita prima al Pintoricchio e poi ad Andrea d’Assisi detto Ingegno. L’opera venne trafugata nel 1970 ed è tornata a Spello ben 34 anni dopo, nel 2004; si tratta di una tempera su tavola, che costituiva il pannello centrale del trittico del Maestro dell’Assunta.

La Porta Consolare era il principale accesso alla città dal versante meridionale. È costruita con conci di pietra bianca del Subasio, perfettamente levigati e uniti tra loro senza l’utilizzo di malta; a tre fornici, è un esempio di porta ad cavaedium, ossia con una sorta di cortile tra l’arco interno e quello esterno. Il fornice centrale era utilizzato per il passaggio dei carri, mentre i due minori laterali erano accessi pedonali. A sud si erge una torre medievale ben conservata, che fiancheggia la porta.
La porta venne rialzata nel fronte esterno in epoca rinascimentale, dato l’innalzamento del piano di camminamento; vi furono inoltre poste tre statue di marmo, facenti parte in origine di monumenti funerari della fine del I secolo a. C., provenienti dall’area dell’anfiteatro. Furono molteplici gli interventi di restauro e i rimaneggiamenti che si susseguirono nel corso dei secoli, e riguardarono sia la porta che la strada sottostante; il che dimostra quanto questa sia stata utilizzata in maniera costante.
In effetti, sotto l’arco centrale, sono visibili in sezione tre strati stradali appartenenti all’età preromana, romana e medievale: ciò significa che la prima strada è ancora più antica della porta, che venne eretta in età triumvirale.

La Porta dell’Arce si trova nel punto più alto e più a nord della cinta muraria, tanto che si è anche ipotizzato potesse far parte di precedenti mura repubblicane, di cui però non vi è traccia. Per la vicinanza al convento dei Cappuccini, è anche chiamata Porta dei Cappuccini e attraverso di essa si apriva il passaggio verso il monte.
È a fornice unico largo 3 metri e si conserva soltanto il doppio arco di conci, in cui è visibile la fenditura dalla quale scorreva la saracinesca di chiusura, e i piedritti, per la maggior parte interrati. Il lato esterno dell’arco presenta una cornice scolpita nei conci, che probabilmente si trovava anche dalla parte opposta, ma di cui non sono rimasti resti. L’arco è costruito in blocchi quadrangolari di pietra locale bianca disposta a secco.

Villa Fidelia, o Costanzi, dall’ingegnere Decio Costanzi, suo ultimo proprietario, è ben visibile già percorrendo la statale che collega Spello ad Assisi. Questa sorge nel più importante sito religioso dell’antico popolo degli Umbri: qui infatti, per quasi dieci secoli, vi era il Santuario Federale della lega delle città umbre, il quale risale al IV-V secolo a. C. Con la conquista romana, la struttura venne potenziata sotto Augusto e Costantino: fu costruito un gradone terrazzato che collegava il sacello di Giove, nella zona in cui oggi sorge il casino di villeggiatura, al sacello di Venere, corrispondente al Monastero delle Suore Francescane Missionarie. Costantino, inoltre, nel suo Rescritto espresse la volontà che, alla base del santuario, venisse eretto un tempio dedicato alla sua gens Flavia.

La struttura che vediamo oggi, trasformata poi in villa privata, è il frutto di modifiche volute nel tempo dai proprietari che si sono susseguiti: la famiglia Urbani nel XVI secolo, l’aristocratica Teresa Pamphili Grillo che la acquistò nel Settecento, Gregorio Piermarini, che allestì il giardino vesuviano e la Fonte di Diana, e infine Decio Costanzi. Quest’ultimo vendette la palazzina sud, l’antico sacello di Venere, all’istituto monastico, mentre il resto dell’area è dal 1974 proprietà della Provincia di Perugia, che la utilizza per spettacoli e mostre.

Importanti gli interventi dell’architetto folignate Giuseppe Piermarini, il quale fece costruire un padiglione di villeggiatura successivamente mutato, e quelli di Cesare Bazzani dei primi del Novecento: è a questi che si deve il gusto eclettico dell’edificio, che unisce elementi barocchi e neoclassici.

La Villa fu un centro talmente prestigioso da essere scelto nel 1930 come luogo del ricevimento per le nozze tra Boris III di Bulgaria e Giovanna di Savoia, figlia del re d’Italia Vittorio Emanuele III.

Oggi il complesso ricopre una superficie di 60.000 mq, occupati dal vastissimo parco e da varie costruzioni. Entrando, potrete notare il centro visite, opera del Bazzani, il fantasioso giardino barocco, detto anche vesuviano, con la fontana di Diana cacciatrice, e il prato all’inglese della Magnolia. Di grande interesse è la chiesa di San Fedele, santo da cui la villa prende il nome, anch’essa forse già area sacra. Deliziosi il casino di villeggiatura, il piccolo teatro e la casa del giardiniere; armonioso e geometrico il giardino all’italiana, al quale seguono la limonaia, il galoppatoio, e l’esteso parco di 20.000 mq, con il lecceto e l’oliveto.

Nel 2005 avvenne una formidabile scoperta, a pochi passi dalla Porta Consolare, vicino alla chiesa di Sant’Anna: durante dei lavori di scavo per la realizzazione di un parcheggio, nell’area in cui era presente l’ex campo da calcio, furono rinvenuti resti di una villa romana.
Gli anni di scavo e restauro hanno portato alla luce una splendida villa di età imperiale con venti ambienti dai meravigliosi pavimenti musivi. La resa cromatica e l’eleganza del disegno dimostrano l’elevata abilità degli artefici, probabilmente maestranze provenienti da Roma incaricate da un facoltoso committente; purtroppo non è nota l’identità del proprietario della Villa, anche se la scena di mescita del vino nella sala principale ha indotto a pensare che possa essere un viticoltore.
La Villa ricopre una superficie di 500 mq e vi sono state individuate due fasi costruttive: la prima di età augustea (27 a.C.-14 d.C.) e la seconda di età imperiale (II-III secolo d.C.). Dieci dei venti ambienti sono decorati con mosaici policromi e conservano resti di intonaco di vario colore sulle pareti. I tappeti musivi ritraggono figure di animali selvatici e fantastici, personaggi maschili rappresentanti le Stagioni, satiri, elementi geometrici e la già citata scena di mescita del vino nella stanza principale, il triclinio. Altri ambienti di pregevole bellezza sono: la stanza degli uccelli, delle anfore, la stanza del sole radiante, quella del mosaico geometrico, forse camera da letto, la stanza degli scudi, un ambiente riscaldato, elemento più antico della Villa, e il peristilio, ossia il portico che chiudeva il cortile interno dell’abitazione. Tutte le decorazioni richiamano all’attività di produzione vinicola del proprietario.
Dal 2018 la Villa dei Mosaici è divenuta museo d’avanguardia, il cui contenitore è una moderna struttura architettonica perfettamente in armonia con il paesaggio che la circonda e dotata di molteplici servizi al visitatore.

La cappella viene denominata “Tega” dal sarto di Spello Pietro Tega, che nel 1921 scoprì gli affreschi, fino ad allora nascosti da una mano di intonaco. Il suo nome originario, però, è cappella di Sant’Anna, poiché sorse come sede della Fraternità Disciplinata di Sant’Anna. Questi amministravano uno dei molti ospedali che la tradizione spellana può vantare, e che risale al 1362; la compagnia venne soppressa nel 1571. Nel 1895 lo spazio fu adibito a bottega, ma già allora gli affreschi, che saranno restaurati nel 1970, erano parzialmente visibili.
La cappella è ad aula unica di pianta rettangolare, coperta da una volta a crociera; nella parete sinistra è presente un grande arco, attualmente in parte interrato a causa dell’innalzamento della superficie stradale dell’adiacente piazzetta. Nonostante le ridotte dimensioni dell’ambiente, i vostri occhi saranno riempiti dalla moltitudine di affreschi che ricoprono le pareti e le volte.
Questi, patrimonio dell’arte italiana, sono datati 1461 e vengono ricondotti alla mano di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, e ad una forse identificabile con Pietro di Mazzaforte, figlio del folignate Giovanni di Corraduccio. Probabilmente la decorazione faceva parte di un importante programma iconografico unitario più vasto; oggi possiamo ammirare gli apostoli e i santi, l’Inferno, il Purgatorio, e gli Evangelisti, ritratti nelle quattro vele.

La chiesa di San Claudio sorge fuori dalla cinta muraria della città, nei pressi dell’Anfiteatro ed è un meraviglioso esempio di chiesa romanica umbra, poiché ha mantenuto pressoché immutate le caratteristiche del linguaggio artistico francescano tra i secoli ⅩⅡ e ⅩⅢ. Insomma, come asserì lo storico locale Dazio Pasquiniuna delle poche chiese di Spello che non ebbe i soldi per diventar barocca…”.
Secondo un documento del 1178, la chiesa apparteneva all’abbazia di San Silvestro di Collepino, dell’ordine camaldolese; prima del 1393 passò nelle mani della comunità di Spello, nonostante questi continuassero a versare ai monaci di San Silvestro un canone annuo.
Dalla fine del Trecento, dopo che il papa rilasciò alla chiesa spellana l’indulgenza plenaria, questa divenne centro religioso frequentato, in cui si svolgevano fiere, che necessitarono la costruzione dei due portici ai lati dell’edificio.
Il terribile terremoto del 1832 arrecò danni alla struttura, che fu oggetto di restauri, così come nel Novecento. In seguito al terremoto del 1997, sono stati intrapresi altri lavori, tra il restauro degli affreschi, ultimato nel 2009.
La facciata della chiesa di San Claudio, in pietra calcarea bianca, è interessante, in quanto leggermente asimmetrica; sulla parte alta vi è un magnifico rosone, affiancato da due bifore. Infine, in cima svetta il campanile a vela su due ordini, ove una volta erano le campane; alle estremità due statue di aquile, oggi acefale.
L’interno è a tre navate divise, a destra da colonne e a sinistra da pilastri sui quali compaiono affreschi con San Claudio a figura intera, che reca in mano i suoi arnesi da lavoro: la squadra, lo scalpello ed il martello. Nell’abside troviamo l’altare, costituito dal coperchio di un sarcofago.
Le pareti interne dell’edificio erano quasi interamente dipinte, ma oggi rimangono solo alcuni resti, tra i quali il ciclo di affreschi di Cola di Petruccioli, il Mistero della Redenzione nel presbiterio e tracce di una Crocifissione nel catino absidale.

La chiesa di San Lorenzo Vescovo e Martire è la seconda Collegiata di Spello, dopo Santa Maria Maggiore, e sorge su Largo Mazzini, sopra i resti dell’antica chiesa di Sant’Ercolano, probabilmente datata al VI secolo. Fu edificata nel XII secolo in circostanza ancora poco chiare: secondo alcuni per volontà degli spellani che vollero porsi sotto la protezione del martire Lorenzo, secondo altri dopo che l’imperatore Enrico IV aveva tolto l’assedio alla città. Venne consacrata da papa Gregorio IX nel 1228 e fu in seguito distrutta dall’esercito di Federico II. Successivamente rifabbricata e ampliata, la visitarono numerosi papi.
Osservando la facciata, ci si accorge che è frutto di due diverse fasi costruttive: la prima di carattere romanico, mentre la seconda risalente al 1540, quando l’edificio venne trasformato con l’obiettivo di dare un’immagine più imponente: fu così ampliata la navata centrale e costruite quelle laterali grazie all’opera guidata dall’architetto “Maestro Donato”, come testimoniano le cronache della parrocchia.
La chiesa è a tre navate divise da pilastri e terminanti in un’abside; la centrale è la più grande ed è coperta da volte a botte, mentre quella di destra termina con un altare e ospita tre cappelle: quella della Vergine Incoronata, che custodisce un’immagine donata da san Bernardino da Siena nel 1438, la settecentesca cappella del Sacramento ad opera del Piermarini o di Filippo Neri di Foligno, nella quale è conservato il bellissimo Tabernacolo di Flaminio Vacca, e infine quella della Trinità. Splendida la vetrata con il martirio di San Lorenzo e l’elegante baldacchino dell’altare maggiore, molto simile a quello del Bernini in San Pietro al Vaticano.
Tra le opere più importanti conservate nella chiesa ricordiamo lo Sposalizio mistico di Santa Caterina ad opera di Bartolomeo da Miranda e una Natività di Andrea Camassei. Anche la Sagrestia custodisce altre opere, tra cui un armadio cinquecentesco intarsiato con lo stemma della famiglia Baglioni.

L’affascinante chiesa romanica di Sant’Andrea fu edificata nel 1025, probabilmente da San Romualdo e venne in seguito venduta, assieme all’annesso convento, ai frati minori dal vescovo di Spoleto. La dedica al Beato Andrea Caccioli, seguace spellano di San Francesco, è successiva. L’edificio è stato trasformato da numerosi interventi, fino all’ultimo del XVII secolo.
Si tratta di una chiesa a croce latina con navata unica, incredibilmente suggestiva e scrigno di opere d’arte. È stata restaurata dallo spellano Benvenuto Crispoldi nel 1913. All’interno troviamo la Cappella del Battistero, prima cappella Baglioni, commissionata da Grifonetto Baglioni, che vi è ritratto, nel Quattrocento. Nel transetto destro si presenta una bellissima tavola del Pintoricchio, che fu iniziata dallo stesso nel 1506, ma completata nel 1510 da Eusebio da San Giorgio ed altri. Interessante la lettera di Bernardino di Betto alla base dell’opera, in cui giustifica il suo abbandono del lavoro a causa di impegni incombenti a Siena.
L’altare è un prezioso manufatto scultoreo datato tra il XIII e il XIV secolo, che custodisce, all’interno di un’urna in legno dorato, una reliquia del Beato Andrea Caccioli.
Il convento sorge accanto alla chiesa e vi si entra da un portale a destra della facciata; un corridoio collega la chiesa al chiostro e attorno ad esso si affacciano il refettorio e gli altri ambienti conventuali.

La chiesa di Sant’Anna è un piccolo edificio, sempre chiuso, che sorge nell’area suburbana di Spello, a pochi passi dalla Villa di Mosaici. Molto probabilmente era un oratorio della Fraternità dei Disciplinati di Sant’Anna, i quali gestivano l’ospedale all’interno delle mura sin dal 1362. Non si hanno documenti riguardanti la fondazione, ma sono stati recentemente scoperti affreschi che inducono a collocare la data di costruzione dell’edificio agli inizi del XIII secolo. Come molti edifici spellani, ha subito rimaneggiamenti che hanno modificato l’aspetto originario, tra cui uno recente dopo il sisma del 1997.
La chiesa ha un tetto a capanna con oculo centrale privo di rosone e presenta inoltre un portico coperto da una grata, che si interpone tra l’esterno e l’interno della chiesa, il quale è a pianta quadrangolare, dotato di tre altari e parete di fondo rettilinea. Le pareti sono decorate con affreschi commissionati da locali tra il XV e il XVI secolo. Tra questi annotiamo una Madonna con Bambino e San Giobbe con Sant’Anna di scuola umbra, un affresco di scuola folignate all’interno di una nicchia, un gonfalone processionale del XIV secolo e altri affreschi cinquecenteschi di scuola umbra. Inoltre, accanto all’altare è collocata una Madonna di Lourdes in gesso in una nicchia una statua di Sant’Anna con la Madonna infante.

La Madonna di Vico costituisce un luogo di primo interesse più per la sua storia, che è una storia di fallimenti, che per il suo valore storico-artistico. Essa sorge lungo la Flaminia, strada costellata di chiese e santuari, mete dei pellegrini che si dirigevano verso Assisi.
La chiesa “Tonda” fu eretta nel 1517 a seguito di una sanguinosa vicenda, che vide protagonisti Bartoloccio di Giacomo Bartolocci signore di Spello, e il suo consigliere Vico di Chiatti. Questi commettevano le più atroci crudeltà, ma furono uccisi durante una partita di caccia da alcuni assisani nel 1373; la casa di Vico fu abbattuta e al suo posto fu innalzata un’edicola con una Maestà, che, con il passare degli anni, fu invasa dai rovi e dalle spine. Nonostante ciò, i pellegrini continuavano ad esserle assai devoti, fino a quando questa iniziò a compiere miracoli e così si decise di costruirvi il santuario, seguendo però un progetto ben preciso e curato.
La chiesa tonda è un edificio a croce greca con navata quadrangolare, dalla quale si diramano tre absidi semicircolari. Sotto la cupola al centro della chiesa vi è l’altare maggiore, che ha inglobato la vetusta edicola con la Madonna del Latte, opera del Quattrocento attribuita a Bartolomeo da Miranda. Nell’insieme, la chiesa Tonda si presenta armoniosa, luminosa decorata da pochi affreschi.
Il merito va senz’altro ai Baglioni, allora signori di Spello, mecenati attenti e colti che, però, si avviarono verso il declino quando nel 1583 la Chiesa riprese possesso della città. Così, come per i Baglioni e per Spello iniziò una lunga fase di decadenza, anche per la Madonna di Vico arrivò la fine. Dal 1539 tutto è rimasto immobile e immutato, probabilmente a causa dell’importanza sempre maggiore che acquisivano i santuari nei dintorni; la chiesa è caduta in abbandono, preda di ladri che l’hanno spogliata di tutto.

L’oratorio era sede della Confraternita disciplinata della Misericordia, detta “dei Raccomandati di Maria”, che nacque nel 1348 e che per una decina di anni si radunava in altri luoghi, finché costruirono una nuova sede nelle case di Tomasuccia di Puccio di Bartolo di Spello. I confratelli iniziarono a svolgere attività ospedaliera nel 1386 e il loro ospedale costituita nel 1570, l’unico ente d’assistenza di Spello, a causa della soppressione di quelli di San Michele Arcangelo e San Bernardino. Nella seconda metà dell’Ottocento l’edificio divenne proprietà privata e fu adibito a legnaia, per poi divenire bottega di un falegname ed essere reso totalmente inagibile dopo il terremoto del 1997. Attualmente è proprietà di una famiglia spellana, ma versa in pessime condizioni, a rischio crollo e vietato al pubblico.
Nonostante gli usi più svariati che se ne siano fatti, permangono resti di affreschi sia all’esterno sulla facciata, che all’interno, che è ad aula rettangolare absidata.

Porta Venere è di epoca romana, più precisamente di origine augustea. Sorge al termine di via delle Mura Vecchie e tra le cinque porte di Spello, è certamente la più bella e maestosa. Gli storici la pongono in relazione, anche per via del nome, con i resti di un tempio dedicato a Venere, rinvenuti a Villa Fidelia, collegata alla città proprio tramite quest’ingresso; non a caso la porta è orientata verso la direzione del sacello. A tre fornici, composta di travertino bianco con lesene di ordine dorico, testimonia il glorioso passato della Splendidissima Colonia Julia. È dotata di un cavaedium, ossia un edificio fortificato a doppia porta; tutta la zona su cui insistono la porta urbica e le torri era un tempo occupato da edificazioni, i cui resti sono visibili nelle cantine delle case degli spellani di via Torri di Properzio.
Per l’appunto, l’imponenza della porta è accentuata dalle due torri dodecagonali che la affiancano, dedicate a Properzio e costruite probabilmente in epoca medievale. Le torri sono fabbricate con la locale pietra rosa; quella orientale è appoggiata al suolo collinare, mentre l’occidentale sorge su di un sostegno quadrato di 10 metri d’altezza.
Il complesso porta-torri è stato restaurato negli anni dieci-venti del Novecento, quando molte costruzioni medievali furono demolite, e poi negli anni 40-41. L’ultimo restauro del 2014 ha aperto alla visita entrambe le torri.

La chiesa di San Gregorio Magno, che contiene il prezioso Oratorio della Morte, si trova poco dopo l’imbocco di Via Giulia, sulla sinistra. La chiesa, conosciuta come “Chiesa della Morte” fu eretta nel 1573, mentre la confraternita della Morte fu fondata nel 1550: questa aveva l’incarico di seppellire i morti e aveva originariamente sede nell’oratorio di Sant’Antonio.
Il “nuovo” oratorio fu costruito nei primi anni del Seicento su iniziativa di Don Giovanni Jacobieri e vi si accede da una porta del XVII secolo lungo la parete destra della chiesa: questa reca lo stemma della famigllia Diamanti. Fu la comunità a caricarsi delle spese per l’edificazione dell’oratorio e così le decorazioni interne, tra cui troviamo busti di santi, sibille e profeti, furono commissionate dalle famiglie più facoltose di Spello; l’opera è datata 1604 ed è attribuita ad un pittore anonimo baroccesco.
L’esterno della chiesa era originariamente intonacato, mentre oggi è in pietra del Subasio, largamente utilizzata in tutti gli edifici di Spello. Non si hanno notizie del progetto rinascimentale e resta soltanto una decorazione con il timpano di un tempio classico nel sottotetto. L’interno è a pianta rettangolare, con tre altari tardocinquecenteschi e conserva diverse opere, tra cui un’Annunciazione del 1591, un Transito di Sant’Andrea datato 1789, una cantoria settecentesca e una statua di Cristo risorto dell’Ottocento. L’intero complesso è stato restaurato e riaperto al culto dopo il terremoto del 1997.

Aggiunto ai preferiti con successo.

Per creare il tuo itinerario avremmo bisogno di qualche informazione in più: indica dunque le date che preferisci, quanti siete e dai un valore ai tuoi interessi, così potremo iniziare a comporre la tua timeline insieme.