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Perugia

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Scopri Perugia: fra storia e tradizione

Scopri Perugia, la città del cioccolato e dell’Umbria Jazz.

Perugia è il capoluogo dell’ Umbria e, ad oggi, il suo comune conta circa 165 mila abitanti. Rispetto alla stessa regione ha una posizione decisamente vantaggiosa. Si trova infatti al centro dell’Umbria, subito sotto gli appennini e prima della vallata del Tevere. Una sorta di crocevia per persone e merci nel centro Italia.

Perugia è nota in Italia e nel mondo per essere la città del cioccolato e per ospitare il famoso Umbria Jazz, è sede, inoltre, di un’Università molto conosciuta e apprezzata che attira più di venticinquemila studenti l’anno.

La città si stende su un colle, a 493 m. sul livello del mare, che si erge fra la val Tiberina e la valle Umbra. Da qui si ha l’impressione di dominare su tutte le vallate.

Da qualsiasi lato arriviate, prima di entrare a Perugia, avrete subito la percezione che questa si adagi dolcemente sulla collina. Senza voler troppo disturbare l’ambiente circostante, ma con la consapevolezza e la fierezza di chi si trova lì da sempre.

La parola “sempre” è spesso abusata e quando si usa parlando di una città sa quasi di infinito. Di certo non vuole essere tanta la presunzione, ma di sicuro le sue origini si possono far risalire ad epoche parecchio remote. Addirittura ad alcuni dei primi popoli che hanno abitato la penisola italica.

Etruschi e Umbri hanno indistintamente segnato le origini della città. Ne hanno caratterizzato gli aspetti urbani, ma anche economici del tempo. Hanno permesso che la stessa giocasse un ruolo molto importante nelle relazioni fra i due popoli.

In epoca romana Perugia ha vissuto periodi di splendore alternati a periodi di grande miseria, dovuti principalmente al ruolo che si è trovata a giocare in varie dispute territoriali, anche all’interno dello stesso Impero Romano. Durante la battaglia fra Marco Antonio e Ottaviano, ad esempio, Perugia subì una grave devastazione, ma subito dopo Ottaviano si adoperò per la sua ricostruzione e riqualificazione.

Un alternarsi di domini e regni diversi lascerà vari segni sulla città. Fino al suo passaggio definitivo allo stato della Chiesa, anche questo caratterizzato da ben poca stabilità. Soprattutto a causa dei papi che solo a tratti facevano valere la loro presenza e il loro potere, nonché delle varie famiglie che tentavano scalate interne o, ancora, perché minacciata da signori-conquistatori di regni confinanti che assediavano continuamente la città per annetterla fra i propri territori. Una storia tumultuosa insomma. Che ha visto Perugia protagonista di devastazioni ma anche di maestose ricostruzioni. Tutto questo ha lasciato dei segni ad oggi visibili, rendendola una delle città più belle d’Italia. Scopri i suoi palazzi rinascimentali e le frequenti testimonianze etrusche e romane, Perugia non si farà scordare facilmente.

Alla scoperta di Perugia

Scopri cosa vedere a Perugia la città degli etruschi. 

Potrete semplicemente passeggiare nel centro di Perugia. Perdervi nei vicoli stretti e irregolari, che formano la trama delle vie cittadine, e per voi sarà subito un piacere. Percorrere ad esempio Corso Vannucci, partendo dalla Fontana Maggiore in piazza IV Novembre, passando per Piazza della Repubblica fino ad arrivare in Piazza Italia per godersi il panorama della vallata Umbra dai Giardini Carducci.

Il dedalo di vie che partono da Corso Vannucci richiama la rete originale etrusca. Si sviluppa in un magnifico incrocio di piccoli passaggi, strettoie fra antichi palazzi, archi mozzafiato e colori pastello vivace. Che il sole sembra far di continuo mutare. Lo scorcio dell’acquedotto medievale con la larga scalinata è un’immagine che toglie il respiro. Grazie anche alle numerose decorazioni delle colorate case circostanti.

La visita della città vi farà respirare da subito arte e cultura, sia che decidiate semplicemente di girovagare o fare un approfondito giro fra i vari punti di interesse. Sono, ad esempio, numerosi i resti di origine etrusca, dal Pozzo Etrusco all’Arco Etrusco, situato nella cinta muraria originale e restaurato in epoca romana (dall’imperatore Ottaviano Augusto, infatti fu chiamato più tardi Arco Augusto).

In piazza IV Novembre, oltre alla famosa fontana Maggiore, potrete visitare la Cattedrale di San Lorenzo e, subito davanti, dal lato opposto della piazza, Palazzo dei Priori visibile nell’accesso della Sala dei Notari. Il palazzo ospita la Galleria Nazionale dell’Umbria. Al suo interno potrete ammirare numerosi capolavori di arte medievale e rinascimentale.

Subito fuori dal corso principale, in direzione Corso Cavour, troverete la fantastica Basilica di San Pietro, situata proprio davanti ai giardini del Frontone. Un giro in questo splendido edificio non dovrebbe mancare in nessun itinerario che un qualsiasi turista sceglie di seguire. Scendendo dalla parte più alta, prima di Piazza Italia, verso Piazza Partigiani, si può letteralmente attraversare la Rocca Paolina. È visitabile al suo interno e conservata in ottime condizioni, compresi molti degli ambienti originali.

In tutto il centro storico di Perugia e fuori dalle mura sono da vedere i numerosi palazzi nobiliari sorti fra il 1400 e il 1800. Tra i quali merita una menzione particolare palazzo Antinori-Gallenga Stuart, oggi sede dell’Università degli stranieri, situato in pazza Fortebraccio appena fuori le mura antiche e costruito in splendido stile barocco. Oppure Palazzo della Penna Palazzo Sorbello che rispettivamente ospitano il Museo Civico e il Museo Sorbello.

Chiunque si trovi in piazza IV Novembre, nel cuore di Perugia, verrà affascinato dalla vista del Palazzo dei Priori. Si tratta di uno dei palazzi di epoca Comunale italiana più belli ed eleganti, sicuramente uno fra i monumenti più importanti e significativi (se non il più significativo) di Perugia e della sua storia.

Venne costruito nel 1293-97, ma varie modifiche e cambiamenti vi verranno apportati fino al 1500. Si trova al centro della città, quello che un tempo era, come oggi, il fulcro della vita politica e sociale della comunità. La sua costruzione è stata decisa per dare una sede appropriata all’organo della magistratura, ma soprattutto perché Perugia stava vivendo il suo periodo di massima espansione e si percepiva la necessità di ostentarne la condizione di benessere, cercando di rappresentare le grandi ambizioni comunali.

L’edificio si affaccia con un lato su Piazza IV Novembre e con un altro lato su Corso Vannucci. È lungo circa centoventi metri, largo ventotto e alto trenta. Il materiale utilizzato è il travertino bianco di Assisi e la pietra bianca e rosa di Bettona. La struttura del palazzo, divenuta quella che conosciamo oggi, è frutto di tre diversi ampliamenti effettuati in tre periodi diversi.

La base del progetto segue uno stile gotico, il primo intervento, fra il 1333 e il 1353, è realizzato vicino alla Chiesa di San Severo, con la costruzione delle tre arcate alla destra della facciata di fronte alla fontana. Il secondo intervento viene effettuato nella parte che si affaccia su Corso Vannucci, fra il 1429 e il 1443, con l’ampliamento sull’arco che passa sopra via dei Priori. Il Terzo ed ultimo, sempre sulla parte di Corso Vannucci in direzione Piazza della Repubblica, su progetto dell’architetto perugino Alessi.

La facciata che dà su piazza IV Novembre, presenta l’ingresso in cima alla scalinata attraverso il quale si accede alla Sala dei Notari. Sopra al portone, come a sovrastare la piazza intera, sono stati posti un grifo e un leone (attualmente gli originali sono conservati nella hall della Galleria Nazionale dell’Umbria). Il lato che si affaccia su Corso Vannucci mostra subito le bellezze delle sue linee e lascia intravedere con grande armonia anche i vari interventi di ampliamento. Al piano superiore sono visibili una splendida serie di Trifore gotiche che riprendono lo stile di quelle già presenti sulla facciata. È senza dubbio meritevole di menzione il magnifico portale maggiore, sopra il quale sono scolpiti in tre bassorilievi i tre santi patroni protettori di Perugia: sant’Ercolano, san Costanzo e san Lorenzo. Il portale, costruito nel 1346, è opera di raffinatissima e pregevole fattura, mostra diverse decorazioni scolpite che raffigurano scene varie di vita cittadina.

Tutto il perimetro superiore del palazzo è arricchito da merli, segni distintivi tipici dell’architettura comunale che però, non piacendo allo stato pontificio, vennero fatti togliere proprio quando Perugia tornò ad essere sotto il dominio papale, per poi ricomparire solo con l’Unità d’Italia.

Oggi il Palazzo dei Priori, oltre ad essere la sede del Comune di Perugia, ospita la Galleria Nazionale dell’Umbria. Sono inoltre visitabili al suo interno: la Sala dei Notari, la Sala del Consiglio, la sala del Nobile collegio del Cambio, la sala del Nobile Collegio della Mercanzia e la cappella dei priori.

PIAZZA IV NOVEMBRE

La Fontana Maggiore è situata al centro di piazza IV Novembre, che si trova a sua volta al centro di Perugia. La piazza ha accompagnato in ogni epoca la vita pubblica cittadina, fulcro di molte funzioni istituzionali. Si trova infatti fra il Duomo di S. Lorenzo, dove venne trasferita la sede episcopale nel X secolo, e palazzo dei Priori, dall’entrata di Sala dei Notari, centro istituzionale e di potere cittadino, sin dalla nascita del comune.

Ad oggi presenta l’assetto voluto dopo la ristrutturazione avvenuta fra il XIII e il XV secolo, che la vide sempre più come centro della vita dei Perugini, sia per le sue funzioni amministrative, sia per gli aspetti della vita quotidiana.

 

FONTANA MAGGIORE

Al centro di Piazza IV novembre è situato uno dei monumenti più rappresentativi di Perugia: La Fontana Maggiore.

Costruita fra il 1254 e il 1278, la Fontana Maggiore risulta essere una delle più pregevoli realizzazioni dell’architettura d’epoca Comunale. Scolpita da Nicola e Giovanni Pisano, padre e figlio, con l’ausilio di Frà Bevignate e, per la parte idraulica, Boninsegna Veneziano, la fontana è composta da due vasche poligonali concentriche, costruite in marmo, e da una tazza bronzea. Le decorazioni situate esternamente ai vasconi rievocano la struttura politica e culturale di Perugia, celebrando la fondazione della città e il ruolo che essa stessa ricopriva in tutto il territorio.

La vasca inferiore conta in tutto ventiquattro lati divisi da fasce di tre colonnine. Ogni lato presenta una coppia di bassorilievi a raffigurare diverse situazioni e contesti. Si inizia con i mesi dell’anno rappresentati da un momento identificatore del mese stesso, che generalmente è un mestiere agricolo o un contesto proprio di un certo periodo. Gennaio, ad esempio, viene simboleggiato con due figure, una maschile e una femminile, che si scaldano al fuoco. Febbraio viene raffigurato con la pesca, maggio dalla caccia al falcone e così via, sino a dicembre simboleggiato dall’uccisione del maiale e la lavorazione delle sue carni. Ai mesi dell’anno vengono alternati i segni zodiacali, poi altri simboli come il leone, Il grifo perugino, le sette arti liberali (Grammatica, Dialettica, Astronomia, Musica, Retorica, Aritmetica, Geometria) e la filosofia. Ancora, sono rappresentate: due aquile, Adamo ed Eva, storie di Davide e Golia, Romolo e Remo e due favole di Esopo (il lupo e l’agnello, la gru e il lupo).

La vasca superiore invece non presenta bassorilievi ai lati ma specchi lisci, con una sola eccezione rappresentata da una scritta, venuta alla luce in seguito a dei lavori di restauro del 1322. Negli angoli di ogni specchio sono state inserite delle statue, ventiquattro in tutto, attribuibili a Giovanni Pisano. Dette statue richiamano personalità influenti della storia e della quotidianità Perugina dell’epoca. Le figure rappresentano: San Pietro, la Chiesa Romana, Roma, La Teologia, Chierico di S. Lorenzo, San Lorenzo, Ninfa del territorio Chiusino, Perugia, Ninfa del Trasimeno, Sant’Ercolano, Il Chierico Traditore, San benedetto, San Mauro, Il Battista, Salomone, David, Salomè, Mosè, Matteo da Correggio, l’arcangelo Michele, Euliste (fondatore di Perugia), Melchisedec, Ermanno da Sassoferrato, la Vittoria.

La visita alla Rocca Paolina, o meglio di quel che ne rimane, dà subito a chiunque la percezione dell’imponenza dell’edificio e dell’importanza che lo stesso poteva avere ai tempi del suo reale utilizzo.

In effetti anche oggi si può ben notare la maestosità dell’edificio, semplicemente attraversandolo dall’interno grazie ad un sistema di scalinate, anche automatiche, costruite negli anni 80.

La Rocca Paolina viene costruita, in grande fretta, fra il 1540 e il 1543. Il motivo per cui il papa Paolo III decide di farla erigere non è quello classico, cioè proteggere la città da incursioni esterne, bensì è la dimostrazione di forza e potere di un Papa che voleva imporsi sulle signorie, nella fattispecie quella dei Baglioni, che negli ultimi anni avevano gestito la città con troppa autonomia. Con la costruzione della Rocca Paolina si stava dando un segnale forte, quello cioè che il potere papale sarebbe stato difeso, anche dai cittadini stessi se necessario.  Da poco infatti si era scatenata una rivolta popolare contro l’aumento delle tasse (famosa quella sul sale) imposto dallo stato pontificio, che, dunque, stava avendo non pochi problemi a gestire il potere in città.

Il progetto della Rocca viene affidato ad Antonio da Sangallo, che disegna i primi schizzi (conservati agli Uffizi di Firenze) nei quali la fortezza veniva perfettamente inserita nel contesto cittadino, senza stravolgerne gli equilibri architettonici. Progetto purtroppo non rispettato da Paolo III che, deciso ad imporsi sui Baglioni, volle far sorgere la struttura anche sopra i possedimenti di quest’ultimi, decidendo inoltre di scavare un fossato protettivo intorno a tutto il perimetro, soluzione che risultò di grande stress architettonico per la città dell’epoca.

La fortezza viene eretta prendendo possesso di un punto strategico sulla città, dal quale la si poteva controllare interamente. La forma data alla costruzione risulta alquanto asimmetrica, per necessità sia difensive che strutturali, risultando simile alla sagoma di uno scorpione. Partendo dai due bastioni posti agli angoli della struttura, che insistono su quella che oggi è Piazza Italia, la Rocca si sviluppava verso valle allungandosi a formare un lungo corridoio fino alla cosiddetta “tenaglia”. Questo prolungamento avrebbe facilitato, nei momenti di assedio, gli approvvigionamenti alla struttura e l’eventuale fuga degli abitanti verso la campagna.

Come accennato in precedenza, una volta terminata la costruzione, vengono scavati tutt’intorno dei fossati, per rendere ancora più imponente e minacciosa la struttura. Questi, insieme ad altre modifiche volute da papa Paolo III rispetto al progetto originale, hanno avuto un impatto devastante sul tessuto urbano circostante. Diversi edifici e addirittura interi villaggi vennero rasi al suolo per permettere il compimento di quest’opera (come ad es. il borgo di Santa Giuliana). In totale si conta che vennero abbattute ventisei torri, undici chiese, due monasteri, parte dell’antica muraglia etrusca, e circa trecento case (gran parte delle quali, come anticipato, appartenenti alla famiglia Baglioni).

La Rocca Paolina non ha incontrato negli eventi susseguitisi mai una reale motivazione per la sua costruzione, però in diverse fonti viene riportato come venne inserita in vari aspetti della vita civile. Negli anni a seguire è tutto un alternarsi di rincorse a screditare e riaccreditare la fortezza.  Si tenta anche di ridestinarne l’uso e di trovarne una vita alternativa, ma di fatto ci si avvia sempre di più a quella che sarà una modifica strutturale: la demolizione di parte della stessa e il riempimento dei fossati. La demolizione avviene in tre fasi: nel 1798 ad opera dei francesi, nel 1848 e nel decennio del 1860 con l’Unità d’Italia. Le motivazioni sono le più disparate. In genere veniva vista come una struttura vetusta, in termini difensivi o solamente di possibilità di accesso alla città. Successivamente gli organi di governo hanno tentato di accrescere la propria reputazione con interventi di rinnovo edilizio e creazione di posti di lavoro. Ad oggi rimangono solo lo sperone sud-ovest, i sotterranei e quattro cannoni della Sala della Cannoniera.

Attualmente gli spazi della Rocca Paolina vengono di sovente destinati a mostre e spettacoli vari. Nel cuore della struttura sono state inoltre istallate alcune sculture contemporanee.

Il Pozzo Etrusco, o Pozzo Sorbello, è sicuramente una delle maggiori opere idrauliche Etrusche fino ad ora conosciute, come affermato anche nel 1966 dal professor Filippo Magi, dell’Università di Perugia, che in quell’anno guidò un’immersione volta a scoprire gli aspetti del pozzo di cui fino ad allora era stata appurata solamente la sua origine etrusca. Fu’ grazie al marchese Uguccione, all’epoca proprietario del palazzo Sorbello (sotto il quale è situato il pozzo Etrusco), che l’università poté accedere al reperto per portarne avanti un’attenta analisi.

Dopo quella prima immersione, avendo compreso l’importanza dell’opera, ne furono fatte altre due con grande interessamento da parte della comunità scientifica fino al 1980. Lo stesso anno la famiglia proprietaria del Palazzo Sorbello aprì il pozzo al pubblico, incentivando le visite e facendo scaturire un grandissimo interesse per il bene, destinato negli anni a giocare un ruolo molto importante nell’incremento degli arrivi turistici nella città di Perugia.

Il Pozzo è situato nei sotterranei di Palazzo Sorbello, da cui il nome con cui è anche conosciuto, ovvero, Pozzo Sorbello. Si trova esattamente nelle vicinanze di Porta Sole, provenendo da Corso Vannucci, attraversando piazza IV Novembre e proseguendo lasciandosi il Duomo sulla sinistra, lo si può trovare semplicemente continuando a camminare mantenendosi sul lato destro della strada.

Il Pozzo è stato costruito nel punto più alto della città, esattamente a 477 m s.l.m., scavato in un terreno che originariamente era fluvio-lacustre, dove si sedimentarono ciottoli e argilla. Ha una capacità di 424 metri cubi e fu costruito intorno alla seconda metà del III secolo a.C. per rispondere al fabbisogno idrico della città, che infatti vedeva all’epoca sorgere moltissimi pozzi tutt’intorno al territorio (molto simile è il pozzo di San Polo a Todi).

L’importanza del pozzo, oltre che dall’indiscussa valenza architettonica del bene, è data anche dalle sue dimensioni, raggiunge infatti i 37 metri di profondità. La struttura è cilindrica e la canna arriva ad un diametro di 5,6 metri nel punto più largo e di 3 metri in quello più stretto.

I materiali di costruzione che vennero utilizzati sono i classici dell’architettura etrusca, la parte superiore del pozzo è stata infatti rivestita con travertino estratto nella vicina frazione di Ellera. Proprio le caratteristiche dei materiali utilizzati per la sua costruzione hanno permesso di datare l’origine del pozzo, in quanto affini ai blocchi utilizzati per la costruzione delle mura urbiche della città.

Altro elemento che ha contribuito ad accrescere la sua importanza e la meritata fama, è la copertura superiore del pozzo. Costruita con lastre trasversali di travertino, sorrette da travature costruite in pietra e incastrate completamente a secco, senza quindi l’ausilio di malta o tipi di amalgama particolari. L’incastro delle travi va a formare due capriate dal peso di circa ottanta quintali l’una. Si crede che la costruzione della copertura avvenne con l’ausilio di impalcature, facendo calare i vari blocchi di pietra e travertino dall’alto.

Il pozzo durante le epoche ha subito non poche modifiche o interventi strutturali. Inizialmente l’apertura era centrata rispetto alla canna, quella attuale (vèra) è stata costruita in periodo medievale. La vèra originaria sembra avesse una pianta quadrata.

Per quanto riguarda la tecnica utilizzata per la raccolta dell’acqua, inizialmente si faceva affidamento al classico secchio con la corda, per poi affidarsi ad un sistema più moderno di carrucole.

Il pozzo etrusco è stato sempre utilizzato nel corso dei secoli, fino a poco prima della sua “riscoperta” come reperto di enorme rilevanza archeologica.

Ad oggi è gestito dalla fondazione Ranieri di Sorbello a cui è stato donato dalla famiglia proprietaria del palazzo.

L’ipogeo dei Volumni è sicuramente una delle tombe etrusche più conosciute e significative di cui ad oggi si abbia notizia. L’Ipogeo dei Volumni è riconducibile al periodo che va dal III al II secolo a.C.. Si trova nella frazione perugina di Ponte San Giovanni, appena fuori le porte della città, e fa parte della più vasta area archeologica di Palazzone che nella sua interezza comprende circa duecento tombe, tutte etrusche ma non della stessa importanza.

La tomba è stata scoperta nel 1840, mentre venivano effettuati gli scavi per una nuova strada. Subito si capì l’importanza della scoperta, tanto da attirare curiosi dai territori circostanti, ma anche, successivamente, dall’estero.

La tomba era proprietà della famiglia Velimna, in latino Volumni, e sembra fosse stata utilizzata fino al I secolo a.C.. La si può raggiungere scendendo una scala, detta dromos che termina con una porta di pietra, recante iscrizioni circa la costruzione della struttura. Superando la porta si accede direttamente alla tomba, composta da dieci stanze. Si inizia con il tablinium, al cui centro sono disposte sette urne, sei etrusche e una romana. Al centro è deposta la più importante, cioè quella del capostipite della famiglia Arnth Velimna Aules (Arunte Volumnio), manufatto imponente fatto in travertino, sulla cui sommità è scolpita una figura raffigurante egli stesso semidisteso. Ai lati vengono raffigurati due demoni alati (lase) a guardia della porta di accesso all’Ade. Alla destra sono presenti altre quattro urne, appartenenti al nonno, al padre ed ai fratelli, raffiguranti sempre il defunto scolpito e la testa di medusa.

Alla sinistra di Arnth è stata deposta la figlia Veilia, raffigurata seduta, adornata di vari gioielli. Vicino è situata l’urna di Publio Volumnio, con raffigurato un giardino paradisiaco. Quest’ultima l’unica di epoca romana.

La tomba è formata da dieci ambienti in tutto, segno evidente delle intenzioni all’epoca della costruzione, cioè ospitare parecchie generazioni avvenire. Il susseguirsi di situazioni storiche e politiche però non lo permisero.

Il tetto della tomba sembra riprodurre le geometrie di un’abitazione aristocratica, mentre sono presenti decorazioni funebri e di vestiari guerrieri.

Appena prima dell’ingresso principale della tomba sono state adagiate una serie di urne ritrovate nella stessa necropoli, in altre tombe appartenenti ad altre famiglie. Quasi tutte sono state costruite in travertino a Perugia. Sembra fossero tutte dipinte con scene di vario tipo: alcune rappresentavano il grifo, simbolo di Perugia, altre scene della mitologia greca.

Il resto della necropoli ospita diverse altre tombe più piccole, ma comunque meritevoli di visita, anche se ormai prive di urne, poiché tutte raccolte nell’entrata principale di quella dei Volumni.

La Galleria Nazionale dell’Umbria rappresenta una delle raccolte museali più importanti d’Italia per quantità di opere custodite e, soprattutto, per la grande qualità delle stesse. Di sicuro, però, è la più completa della regione.

Ad oggi si trova all’interno del Palazzo dei Priori e contiene una raccolta di opere che spaziano fra il XIII e il XIX secolo.

Le origini della Galleria nazionale dell’Umbria possono essere ritrovate nell’Accademia del Disegno istituita nel XVI secolo, che vide una discreta espansione tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, grazie all’impero napoleonico prima, ma soprattutto al neonato regno d’Italia poi.

È infatti nel 1863 che si ritiene necessaria la creazione di una pinacoteca civica che potesse raccogliere tutte le opere fino a quel momento troppo sparse per il territorio. Questa pinacoteca viene intitolata a Pietro Vannucci, detto il Perugino (da cui prende il nome anche il corso principale di Perugia, via sulla quale è situato proprio il Palazzo dei Priori).

Nel 1918 la pinacoteca viene statalizzata e rinominata “Galleria regia Pietro Vannucci”. Da quel momento la collezione continua a crescere fino a diventare fra le prime d’Italia.

I numerosi lavori di ristrutturazione che hanno coinvolto gran parte delle stanze di Palazzo dei Priori, hanno determinato la ricollocazione della Galleria diverse volte nel corso degli anni.

L’assetto attuale del museo risale al 2006 e occupa due piani del Palazzo dei Priori, sviluppandosi su un totale di 4000 metri quadrati. La raccolta ad oggi è ordinata seguendo uno schema cronologico, e per scuole, e ospita artisti come: Gentile Da Fabriano, Beato Angelico, Arnolfo di Cambio, Piero della Francesca. Particolare attenzione è riservata agli artisti originari della regione, come Bartolomeo Caporali, Benedetto Bonfigli, Fiorenzo di Lorenzo, Pietro Vannucci detto Il Perugino, Bernardino di Betto detto Pinturicchio e i loro allievi.

IL DUECENTO

Fra le sculture più significative dell’epoca, esposte in galleria, troviamo il Cristo Deposto, 1236, parte di più figure raffiguranti la deposizione. Sono poi visibili le cinque sculture di Arnolfo di Cambio, fatte con marmo di Carrara nel periodo tra il 1278 e il 1281, che pare fossero destinate ad una fontana situata sull’attuale Corso Vannucci. Nella stessa area sono poi presenti le due fornelle, scolpite dai fratelli Pisano e appartenenti alla Fontana Maggiore, a raffigurare Roma e la Lupa.

Per quanto riguarda la pittura duecentesca, l’espressione artistica più significativa è sicuramente rappresentata dal Maestro di S. Francesco (nome derivante dalle prime opere effettuate nella Basilica di S.Francesco di Assisi). Di sua fattura sono presenti nella Galleria Nazionale d’Umbria la grande Croce del 1272, la Croce a due Facce, dello stesso periodo, e il Paliotto datato 1262. Nella stessa area sono inoltre meritevoli di menzione il dossale del Maestro di Farneto (1290) e il dossale di Vigoroso da Siena, del 1291.

IL TRECENTO

Questo secolo inizia con la Madonna col Bambino, datata 1304, appartenente a Duccio di Buoninsegna. Fra gli altri vanno menzionati i pannelli bifronti con S.Paolo – S.Lorenzo e S.Pietro Apostolo e S. Ercolano, quest’ultimo mentre sembra sostenere la città di Perugia. Fra i seguaci di Giotto troviamo Marino da Perugia, con la sua Madonna col Bambino e Santi, 1317, Puccio Capanna e Giovanni di Bonino con, rispettivamente, Madonna in trono con Bambino e Crocifissione, 1340 circa, e la vetrata con Crocifissione, 1345 circa.

La seconda metà di questo secolo è anche connotata da una forte presenza della scuola Senese, alla quale viene infatti dedicata una sezione, dove si può ritrovare ad esempio il Polittico di Forsivo di Luca Tommé del 1370, la Madonna col Bambino e Santi di Bartolo di Fredi e la piccola crocifissione di Nicolò di Buonaccorso.

IL QUATTROCENTO

In rappresentanza di questo periodo la Galleria dedica uno spazio anche all’influenza del gotico internazionale con il polittico di Pietralunga di Ottaviano Nelli datato 1404, la Madonna col Bambino e angeli sempre del 1404 di Gentile da Fabriano, affresco della Crocifissione, di Jacopo Salimbeni del 1420 circa.

A rappresentare il terzo e quarto decennio, date le continue mutazioni nelle tendenze rinascimentali, sono presenti La Madonna con Bambino e Santi del 1439 di Pietro di Nicola Baroni, il polittico di Santa Giuliana, 1438, di Domenico di Bartolo.

La scuola Fiorentina è anch’essa ampiamente rappresentata, ad esempio con il polittico di S. Domenico datato 1447 di Beato Angelico, sulla cui scia sono stati ispirati numerosi altri pittori, quali ad esempio Benozzo Gozzoli, con la pala della Sapienza Nuova, del 1456. E’ inoltre presente il polittico di S.Antonio dipinto fra il 1455 e il 1468 da Piero della Francesca.

RINASCIMENTO PERUGINO

Quando si parla di Rinascimento a Perugia si può tranquillamente parlare di una “scuola”. Sono infatti numerose le figure che hanno contribuito al patrimonio caratteristico di questa corrente e molte delle loro opere sono custodite nella Galleria Nazionale dell’Umbria:

Bonfigli Benedetto è il primo pittore rinascimentale perugino, tra le sue opere sono presenti la Madonna col Bambino e angeli musicanti, 1450, l’Annunciazione e S. Lucia, 1450-53, il gonfalone di S. Bernardino, 1464. E’ inoltre presente la serie di affreschi Storie di S.Ludovico da Tolosa.

Bartolomeo Caporali di cui, fra le altre opere, è presente la Madonna col bambino e angeli, 1465, il trittico della confraternita della giustizia, 1475, e l’adorazione dei pastori, 1478-79.

Fiorenzo Di Lorenzo del quale si conservano le opere S.Sebastiano, 1475-79, la nicchia di S. Francesco al prato, 1487, il polittico dei Silvestrini, 1493

Perugino sicuramente una delle espressioni di maggior livello della pittura umbra. Pietro Vannucci si formò nei primi anni a Perugia, per poi proseguire i suoi studi a Firenze, formandosi con Piero della Francesca e con il Verrocchio successivamente. Dopo diversi lavori a Perugia, fra cui alcuni a Palazzo dei Priori, acquisì una certa fama che gli permise di essere ingaggiato dal Papa per alcuni lavori, anche alla Cappella Sistina (consegna delle chiavi, 1481), fino a divenire forse il pittore più influente della fine del 1400. Molte delle sue opere sono conservate in Galleria, fra le quali quelle di maggior pregio sono: San Bernardino che risana da un’ulcera la figlia di Giovanni Antonio Petrazio da Rieti, datata 1473 (parte delle otto tavolette a comporre la nicchia di S.Bernardino), Madonna della confraternita della consolazione, 1496-98, Il Cristo Morto, 1495, la pala dei Tezi, 1500, Il Gonfalone della Giustizia, 1501, il polittico di S. Agostino.

Pinturicchio: Nacque a Perugia nel 1454 e morì a Siena nel 1513. Subì gli influssi di molti maestri Perugini, soprattutto di Bartolomeo Caporali. Fu’ negli anni allievo e assiduo collaboratore del Perugino, che aiutò in alcuni dei più famosi lavori, fra cui le tavolette della nicchia di S. Bernardino e altri nella Cappella Sistina. Lavorò in molte occasioni a Roma, anche per il Papa, dove divenne famoso per l’eleganza delle sue decorazioni e dei suoi lavori in generale. All’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria è conservata la pala di S.Maria dei Fossi, 1495-96, una delle opere che più rappresenta la scuola Perugina. Lavoro di straordinaria tecnica e attenzione ai dettagli.

CINQUECENTO

Diverse sono anche le opere custodite che rappresentano questo periodo, i cui autori sono principalmente provenienti fuori da Perugia, anche grazie al rinnovato potere della Chiesa che commissiona molte opere. È, ad esempio, visitabile l’affresco Storie di Braccio Fortebraccio da Montone, eseguito da Lattanzio Pagani e Tommaso Bernabei nel 1545-48. Fra i pittori locali invece è annoverabile Orazio Alfani e le sue Sacra Famiglia e Il Riposo nella Fuga di Egitto, 1560 circa. Fra gli altri è inoltre da menzionare la Natività della Vergine datata 1561 e dipinta dall’assisano Dono Doni. Sono visibili anche opere di pittori fiamminghi, fra cui il più importante è Hendrick van den Broeck con l’Adorazione dei Magi, 1563, e la crocifissione, 1565.

Importanti anche la Sacra Famiglia con il Battista, 1573, dipinta da Raffaellino del Colle e l’Adorazione dei Pastori di Marcello Venusti.

SEICENTO E SETTECENTO

Il Maggior esponente del seicento in galleria è sicuramente Ventura Salimbeni, con la Vergine col Bambino e S. Giovannino, 1606-1608. Viene poi esibito Orazio Gentileschi, con S.Cecilia che suona la spinetta e un angelo, 1615, e Valentin de Boulogne, con Samaritana al pozzo, 1622, entrambi della corrente del Caravaggismo.

Anche il periodo settecentesco offre opere interessanti. La Visione di San Bernardo, ad esempio, dipinta da Giovanni Odazzi nel 1720. Sono inoltre presenti altre opere che al tempo giunsero da Roma, come La Famiglia della Vergine, Francesco Mancini 1732, Comunione della Maddalena, Sebastiano Conca 1738, e S. Ambrogio Assolve l’Imperatore Teodosio, Pierre Subleyras 1745.

A completamento delle grandi raccolte di dipinti e sculture, nella Galleria Nazionale dell’Umbria esistono numerose collezioni, quali ad esempio una molto nutrita di tovaglie Perugine, che passata di mano in mano fra collezionisti privati, alla fine è stata acquisita dallo stato ed esposta in galleria. Esistono inoltre esposizioni di manufatti di oreficeria, provenienti perlopiù dai musei civici perugini, raccolti dal 1863 senza però che ne fosse stata indicata l’origine, ragion per cui ad oggi risulta difficile ricostruirne precisamente la storia.

Altre collezioni provengono dalla sagrestia della chiesa di S. Domenico, questi inventariati nel XV secolo a testimonianza del lavoro degli artigiani locali.

Il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, abbreviato M.A.N.U., ha sede nel complesso di S. Domenico, un ex convento che dopo essere stato utilizzato come caserma militare durante le dominazioni Napoleoniche è passato allo stato con l’Unità d’Italia per diventare, appunto, sede del museo nel 1948.

Il museo nasce grazie alla decisione di raccogliere i patrimoni dei vari musei civici sparsi nel territorio perugino, compresi quelli di alcune collezioni private, in un unico museo, oggi fra i più ricchi per qualità e quantità di reperti di epoca etrusca e romana

L’attuale assetto risale al 2009 e segue un ordine cronologico, dalla preistoria all’età romana. Un percorso intervallato da sale ad indirizzo tematico o contestuale, come la ricostruzione della Tomba dei Cai Cutu in una sala sotterranea situata nel chiostro del convento. Questa è stata ritrovata inviolata nel 1983 e conteneva una cinquantina di urne in tipico stile Perugino, più un sarcofago in arenaria nel quale sono stati ritrovati i resti di un inumato (l’inumazione era una pratica comune nell’era arcaica, sostituita poi con la cinerazione in epoca ellenistica). Tutte le urne presentano l’iscrizione con il nome del defunto e sono tutte appartenenti alla stessa famiglia, quella appunto dei Cai Cutu.

Continuando il percorso, lungo le pareti del chiostro del convento sono stati collocati diversi reperti provenienti da alcune necropoli perugine in aggiunta ad altri pezzi di età romana ed epigrafi ad illustrare la rinascita di Perugia (Perusia Restituta) dopo l’intervento di Ottaviano a seguito della battaglia vinta contro Lucio Antonio.

In una sala vicino alla scala sono state collocate alcune sculture romane, fra cui un Telamone di marmo di età presumibilmente imperiale.

Salendo al piano superiore, si possono notare le varie urne in travertino risalenti al periodo che va dal III al I secolo a.C., raffiguranti scene di cultura greca, anche queste provenienti dalle necropoli perugine. Sullo stesso piano è ospitato l’altro spazio espositivo, dedicato alla Tomba dei Cacni (III-II secolo a.c.). Rinvenuta solo nel 2003 dai Carabinieri (Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Roma) in località Elce, proprio lungo l’importante via di collegamento che univa Perugia con Cortona e Chiusi. La tomba conteneva il sarcofago, le urne e il corredo funebre. Le urne sono costruite in travertino e rappresentano lo stile tipico delle necropoli perugine del tempo. Numerose sono le decorazioni che le stesse riportano, soprattutto riguardanti il mondo della mitologia greca.

Sullo stesso piano della struttura sono inoltre esposte le collezioni numismatiche e gli amuleti (provenienti dalla collezione privata Bellucci).

Il vero percorso del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria ha comunque inizio con una sezione preistorica che, grazie al supporto di interazioni multimediali, fra cui varie immagini, ricostruisce il percorso delle origini dell’uomo, fino alla scomparsa dell’Homo sapiens. Si procede poi, rispettando un ordine cronologico, fino a raggiungere gli spazi dedicati agli Umbri e agli Etruschi che sono divisi, dedicando rispettivamente un’ala ciascuno e cercando di mettere a confronto le due civiltà in modo da poterne cogliere anche le similarità che presentavano.

Si procede con una sezione dedicata alle necropoli Perugine, con pezzi di alto valore (come il sarcofago dello Sperandio). Il percorso continua nel corridoio adiacente che ricostruisce la storia di Perugia dall’epoca villanoviana fino all’epoca romana.

Viene infine dedicata una sala al famoso Cippo Perugino. Questo fu rinvenuto nel 1822 su colle di S. Marco.

Il M.A.N.U. è sicuramente una delle attrazioni turistico/culturali più apprezzate fra tutta l’offerta cittadina, con un pubblico che rimane sempre estasiato e sorpreso, spesso anche dalla poca affluenza.

Uscendo da Corso Vannucci, scendendo la scalinata di Sant’Ercolano, che conduce all’omonima chiesa, e proseguendo dritti, entrerete in una delle vie più caratteristiche di Perugia, Corso Cavour. Pur essendo una delle strade più importanti del centro storico, presenta intatte le caratteristiche del vicoletto tipico dei borghi. Quando sarete a metà strada verrete colti di sorpresa dalla massiccia facciata di quello che è stato definito “l‘edificio religioso più grande di tutta l’Umbria”. La Basilica di San Domenico si presenterà ergendosi da piazza Giordano Bruno, anch’essa quasi nascosta e decorata da una vera di un pozzo del 1442.

In linea con la gli avvenimenti della città, anche la basilica di San Domenico può vantare una storia turbolenta. La prima versione venne costruita nel 1304, in stile gotico, subito accanto ad una prima chiesetta eretta dai Domenicani fra il 1230 e il 1260, in un luogo già molto famoso nella Perugia dell’epoca, in quanto molto vicino alla chiesa di S. Stefano del Castellare, sede di riunioni anche di elevato impatto politico cittadino. L’edificio, a causa di gravi danni strutturali, subì nel 1614 un importante cedimento, con il crollo quasi totale delle navate, e dovette essere ricostruito quasi interamente in quello che potete ammirare oggi.

Una doppia scalinata poggia sulla maestosa facciata e conduce al portone principale, costruito nel 1596. Entrando si avrà un senso di nudità decorativa, soprattutto se si pensa che questa chiesa era un tempo ricchissima di opere d’arte, quasi tutte requisite dal regno Napoleonico, nel suo breve periodo di dominio, o demaniate in epoca post unità nazionale. Alzando però leggermente lo sguardo sarete subito colti dalla magnificenza della vetrata colorata a decorare il fondo dell’abside. Alta 23 metri, fu dipinta nel 1411 da Bartolomeo di Pietro e Mariotto di Nardo. Insieme a quella presente nel Duomo di Milano è la più grande d’Italia e fra le più alte d’Europa. La dimensione è insolita per le chiese italiane che di norma non necessitavano di raccogliere troppa luce, anzi solitamente gli architetti preferivano finestre più piccole, proprio per limitare l’accesso al calore.

La struttura è divisa in tre navate a formare la classica croce latina, con il grande transetto finale e il maestoso presbiterio. Percorrendo la navata destra sono sicuramente degne di nota le tele di Giuseppe Laudati nella seconda cappella dedicata a S. Rosa da Lima, mentre superando la terza cappella dedicata a San Pio V si arriva alla quarta, residuo del vecchio edificio, dedicata alla Madonna del Voto e decorata da Agostino Duccio nel 1459. Proseguendo si raggiunge il transetto che, nella crociera destra, presenta numerosi resti di affreschi all’interno delle due cappelle e in fondo il monumento di Benedetto XI, opera di raffinata bellezza e maestria, si tratta appunto della figura del papa morto proprio a Perugia nel 1204, attribuita a Lorenzo Maitani, sorretta da un’edicola, sostenuta a sua volta dal sarcofago che ospita il corpo del defunto.

Proseguendo verso il centro si arriva al presbiterio, dove poggia l’altare maggiore progettato da Pietro Carattoli. Rivolgendo lo sguardo verso l’abside, proprio sotto la magnifica vetrata dipinta, si sviluppa ai tre lati il coro ligneo opera di Crispolto da Bettona. Dirigendosi verso la crociera sinistra si giunge all’altare sopra il quale è ammirabile La Pentecoste, un quadro di Suor Plautilla Nelli, del 1554. Ancora più in alto il grande organo dorato, di Sallustio da Lucignano e Luca Neri da Leonessa, costruito nel 1660. Proseguendo verso la navata di sinistra, in direzione dell’uscita, la prima cappella che si incontra è dedicata a Santa Caterina e presenta resti di affreschi appartenenti alla prima chiesa, attribuiti a Benedetto Bindo, del 1415. Proseguendo verso l’uscita si incontrano sulla destra la Madonna del Rosario tra i SS. Domenico e Caterina, dipinto da Giovanni Lanfranco nel 1647, nella quarta cappella, e il gonfalone posto sopra l’altare di Giannicola di Paolo, del 1494, nella terza cappella.

Proprio in fondo a piazza IV Novembre, si erge la maestosa Cattedrale di Perugia dedicata a San Lorenzo con il museo Capitolare, esattamente a pochi metri dalla fontana e di fronte alla facciata del palazzo dei Priori. Arrivando da corso Vannucci, da circa metà della via, si inizia ad intravedere l’imponente lato della cattedrale, subito sopra la cosiddetta “scalinata del centro”.

La struttura odierna è conseguenza di un profondo progetto di ristrutturazione di un primo edificio, collocato nello stesso posto, che però venne quasi totalmente stravolto. La vecchia chiesa risale al 930 d.C., ma il progetto che l’ha completamente rifondata risale al XIV secolo, sotto la supervisione di Fra Bevignate, grazie alla quale iniziarono i lavori nel 1345, fino al completamento del 1490.

La cattedrale non si affaccia con l’ingresso principale su piazza IV Novembre, ma su piazza Danti. Dalla prima piazza infatti è visibile il lato della chiesa, di grandissimo impatto, ma le cui decorazioni non furono mai completate. Guardandolo con le spalle rivolte verso corso Vannucci, in basso a sinistra salta agli occhi la bellissima “loggia di Braccio”, voluta proprio dallo stesso Braccio da Montone nel 1423, inizialmente collocata nel palazzo del Podestà, dato alle fiamme nel 1534. Spostando lo sguardo verso destra si può incontrare, in ordine, una statua in bronzo di Papa Giulio III, scolpita da Vincenzo Danti nel 1555, al quale il popolo perugino fu grato per aver riportato la magistratura inizialmente soppressa da Paolo III. Proseguendo si vede il bellissimo portone laterale, costruito in travertino da Ippolito Scalza e progettato da Galeazzo Alessi nel 1568. Ancora a destra invece è situato il cosiddetto “Pulpito di San Bernardino” dal quale il santo predicò nel 1425.

La facciata principale situata su Piazza Danti, essendo anch’essa incompiuta, risulta piuttosto spoglia, unico elemento di decoro è il portone scolpito da Pietro Carattoli nel 1729.

L’interno della chiesa da subito l’impressione di ampiezza e luminosità. La scelta architettonica è inspirata alle “HallenKirchen” del nord europa, cioè con la costruzione di tre navate di uguale altezza. Gli affreschi delle volte risalgono alla seconda metà del 700 e sono riconducibili a Pietro Carattoli, Francesco Appiani, Vincenzo Monotti, Marcello Leopardi, Domenico Sergardi, Carlo Spiridione Mariotti.

All’interno della chiesa, in ognuna delle navate, includendo le cappelle i cui accessi si hanno ai lati, si contano un gran volume di opere d’arte, dipinti, affreschi, banconi in legno e prospetti marmorei, tutte datate post 1500 fino al tardo 1800.

Degne di nota sono sicuramente, nella navata centrale, un dipinto su tela raffigurante La Madonna in Gloria col Bambino e i ss. Domenico, Ercolano, Costano, Lorenzo, Agostino e Francesco e una vetrata raffigurante Il Martirio di S. Lorenzo, di Ludovico Caselli. Subito vicino l’ingresso principale c’è la tomba del vescovo Giovanni Antonio Baglioni, scolpita da Urbano da Cortona, con la figura del vescovo giacente.

Nella Navata destra invece si può notare la cappella di S. Bernardino e la deposizione della Croce, dipinta da Federico Barocci nel 1567-69. Vi è inoltre un bancone in legno di Jacopo di Antonio Fiorentino ed Ercole di Tommaso del Riccio, del 1565-67. Proseguendo si trova l’ingresso della Cappella del Battistero, che ospita un importante prospetto marmoreo di Pietro Paolo di Andrea da Como (1479), la cui concavità è affrescata con il Battesimo di Gesù, di Domenico Bruschi (1876).

Nella navata sinistra, alla quinta campata, la pala della pietà: il Cristo, la Madonna, S. Giovanni, l’Eterno e gli angeli, di Agostino di Duccio (1474). Tornando verso l’ingresso un altare del gonfalone, con gonfalone di Berto di Giovanni (1526), raffigurante Maria che implora Gesù per far finire la peste.

Nel presbiterio si possono vedere ai lati due statuette di S. Lorenzo e di S. Ercolano, sorrette da due amboni. Al centro invece si trova l’altare maggiore, di Francesco Caselli, al cui interno è racchiuso il sarcofago con le reliquie di S. Ercolano.

Passando per la Sagrestia, dalla cappella alla destra del presbiterio, si accede agli altri ambienti della canonica sistemati intorno a due chiostri. Dal lato meridionale del primo si può accedere al museo Capitolare.

MUSEO CAPITOLARE

Istituito nel 1923 grazie all’aiuto di Umberto Gnoli, storico d’arte che si occupò della catalogazione e sistemazione dei reperti, provenienti dal duomo o da altre diocesi vicine.

L’allestimento è stato rivisto e l’esposizione rivisitata in epoca relativamente recente. Nel 2000 infatti, in occasione del Giubileo, la collezione si impreziosisce con l’arrivo di nuovi materiali e l’esposizione si ingrandisce su nuovi spazi, uno fra tutto il percorso archeologico che conserva resti etruschi e romani dell’acropoli della città.

La collezione artistica annovera una serie di importanti dipinti, fra i quali la Pietà di Bartolomeo Caporali (1486), la Madonna tra i ss. Giovanni Battista ed Evangelista di Meo da Siena, ma su tutte va segnalata la Pala di S. Onofrio, di Luca Signorelli. Fra le sculture invece la Testa di Diacono di Arnolfo di Cambio e l’altare della pietà di Agostino di Duccio.

Forse la più bella e maestosa testimonianza dell’appartenenza di Perugia all’antica civiltà Etrusca, è proprio l’arco Etrusco, conosciuto anche come Arco Augusto (oppure porta Tezia, porta Settentrionale, porta Pulchra, porta di Via Vecchia ecc.). Le sue origini sono riconducibili al III secolo a.C., costruito lungo il perimetro dell’antica cinta muraria etrusca, era la più importante porta d’ingresso.

Il materiale utilizzato per la sua realizzazione è quello tipico delle costruzioni etrusche, cioè il travertino, estratto dalla cava di S. Sabina. L’assemblaggio dei cubi è stato fatto senza l’ausilio di nessuna malta. L’arco è disposto al centro di due torri di forma trapezoidale, costruite con le stesse tecniche.

Di sicuro è la più antica di tutte le porte Perugine e non è stata soggetta a molte modifiche durante i secoli, ad eccezione di una loggia rinascimentale collocata sopra il torrione sinistro e di una fontana costruita nel XVII secolo, ai piedi dello stesso torrione.

Il nome con cui è anche conosciuta l’opera, cioè Arco Augusto, ha origine da un avvenimento che ha visto protagonista proprio l’imperatore Ottaviano Augusto nel 40 a.C.. Quest’ultimo infatti, nel tentativo di cacciare Lucio Antonio, fratello di Marco Antonio con il quale Ottaviano era in guerra per conquistare il potere di Roma, devastò e incendiò Perugia, in uno dei più grandi assedi dell’epoca antica subiti dalla città. Ottaviano però ne prese subito possesso e si occupò immediatamente della riqualificazione, dando di fatto nuova vita sociale e architettonica a Perugia, nominandola “Augusta Perusia”, iscrizione tutt’oggi visibile sul doppio giro di conci dell’arcata, il cui recente restauro ad opera del comune di Perugia ha recentemente portato alla luce una finora sconosciuta vernice rossa con cui era colorata la scritta, verosimilmente affinché questa potesse essere letta anche da lontano.

Sull’arco però compare un’altra scritta, sulla cornice subito sopra l’arcata, che recita “Colonia Vibia”, fatta apporre dall’imperatore Romano di origini perugine, Gaio Vibio Treboniano Gallo (nato a Monte Vibiano Vecchio, nel comune di Marsciano, imperatore dal 251 al 253 d.c.), con la quale appunto nominava Perugia una colonia romana.

L’arco Etrusco è situato in piazza Fortebraccio, vicino al Palazzo Antinori-Gallenga Stuart ed attraversandolo si accede al centro storico da via Ulisse Rocchi che, se seguita, porta direttamente a Piazza Danti dove si affaccia il lato principale della cattedrale di San Lorenzo.

Avete già visitato la città fino in fondo e magari volete farvi due passi seguendo un percorso “poco convenzionale”? Bene, scendete da piazza IV Novembre per la suggestiva Via della Maestà delle Volte, alla fine fate qualche metro e girate in via Baldeschi. Subito alla vostra sinistra troverete una scalinata in discesa. Percorrendola noterete che a lato la strada si divide, formando un rialzamento pedonale protetto da bassi parapetti laterali. Il percorso si sviluppa indipendente, mischiandosi fra i vicoli e le case. Iniziate a camminarci sopra e perdetevi fra i magnifici scorci e i tetti che questa via pedonale vi farà attraversare. Sarete sopraelevati rispetto al livello della città. Ebbene, starete camminando su quello che quasi mille anni prima è stato costruito con lo scopo di trasportare l’acqua al centro di Perugia, vi troverete infatti sopra l’acquedotto medievale.

Costruito nel 1254 con lo scopo di soddisfare il fabbisogno idrico della città, che grazie all’espansione urbana e demografica che la caratterizzava in quegli anni, stava crescendo velocemente, l’acquedotto presenta una lunghezza di circa 4 km e venne fatto partire dal monte Pacciano, grazie alla ricchezza di sorgenti presenti sul suo territorio.

Come gran parte della storia perugina, e dei suoi più grandi monumenti, anche la storia della costruzione dell’acquedotto risulta abbastanza movimentata. La data di inizio dei lavori fu infatti il 1254, ma non ci volle molto a registrare il primo stop alla costruzione. Forse per il decesso dell’architetto incaricato o semplicemente per il fatto che portare l’acqua fino in cima alla città di Perugia risultava una sfida troppo ardua. Sta di fatto che la costruzione riprese solo nel 1276, con Boninsegna incaricato da Fra Bevignate. Sembra che fosse l’unico ad aver accettato quella “sfida”, ma di certo non deluse le aspettative che in lui vennero riposte. Far andare l’acqua salita non era infatti cosa da poco, ma Boninsegna tramite un ingegnoso sistema di vasi comunicanti in connessione e grazie ad un impianto di tubazione in piombo riuscì nell’impresa. La grandezza e l’importanza dell’opera vollero essere celebrate con un altro monumento che facesse da terminale all’”impianto idrico”, sottolineandone l’attività e la dinamicità. Fu infatti costruita nello stesso periodo la Fontana Maggiore dalla quale, nel 1278, zampillò per la prima volta l’acqua proveniente dal monte Pacciano.

Ad oggi l’acquedotto medievale di Perugia è ben conservato e a tratti percorribile nel centro storico. Purtroppo, però la parte esterna è caduta in abbandono, lasciata consumare fino a diventare semplice rovina.

La Basilica di San Pietro, antica cattedrale di Perugia, ospita una raccolta di opere d’arte che è seconda in città solo alla Galleria Nazionale dell’Umbria.

Scendendo dal centro storico, passando per la scalinata e la chiesa di S.Ercolano, attraversando la suggestiva via di Corso Cavour, oggi pullulante di ristoranti e locali di varia natura, dovrete attraversare la porta San Pietro, che  segna l’ingresso a Borgo XX Giugno. Verso la fine della via, in posizione rialzata alla vostra sinistra, vi troverete di fronte alla Basilica di San Pietro. L’edifico fa parte di un complesso benedettino fondato nel 966 da Pietro Vincioli sopra i resti di una chiesa paleocristiana, che sembrerebbe essere stata la vecchia cattedrale Perugina. Il tutto eretto in un’antica area etrusco-romana.

In fondo al cortile d’ingresso la basilica di San Pietro vi si presenterà con una figura possente ma slanciata, grazie anche al campanile che si erge maestoso su tutta Perugia con bifore in stile gotico ed un’appuntita cuspide.

Ora potete abbassare lo sguardo, seguire il regolare profilo del cortile, fino alla sua parte sinistra, dove troverete il portone d’ingresso alla basilica, opera del ‘500 decorata da Giannicola di Paolo con Madonna e i due Angeli.

L’accesso agli interni sarà un passaggio che vi lascerà per un attimo senza fiato. Preparatevi ad essere accolti dalla bellezza che questa chiesa saprà sprigionare. Sarete quasi abbagliati dall’immensa ricchezza di opere d’arte: tele, intagli lignei, sfumature marmoree, decorazioni su archi e colonnati. Una serie di immagini che vi lasceranno per un istante a bocca aperta. L’insieme dona immediatamente al visitatore un effetto di colori cupi, ma profondissimi e dai tratti nitidi. Sempre regali e affascinanti, ma scuri come a ridare austerità a quel luogo che, prima di tutto, è edificio di culto religioso.

La struttura è composta da tre navate. La centrale è più alta e si erge imponente rispetto alle due navate laterali, minori in altezza e larghezza.

Prima di fare un passo in avanti alzate lo sguardo, noterete innanzitutto il soffitto ligneo, decorato in cassettoni da Benedetto di Giovanni di Pierantonio. Nelle pareti che marcano il rialzamento della navata, fra le colonne e il soffitto, troverete una serie di tele raffiguranti scene di vita di Cristo dell’Aliense fra il 1592 e il 1594.

Anche le due navate sono ricchissime di dipinti, di diversi autori fra il XV e il XVII secolo di scuola toscana e perugina, fra cui: Eusebio da San Giorgio, Orazio Alfani, Giacinto Gimignani, Cesare Sermei, Ventura Salimbeni ed altri.

In fondo sulla destra troverete la sagrestia, costruita nel 1451 e anch’essa pregevolmente decorata, a partire dalla volta affrescata con Storie dell’Antico Testamento di Scilla Pecennini. Fra le tante opere sicuramente sono degni di nota il pavimento in maiolica di Giacomo Mancini da Deruta e i cinque quadretti del Perugino, ripresi da una delle sue grandi opere “L’ascensione di Cristo”, una delle tante asportate durante il dominio Napoleonico, che oggi si trova a Lione, al Musée des Beaux-Arts.

Proseguendo per la lunghezza della basilica si giunge al presbiterio con i suoi costoni gotici finemente decorati da Giovanni Fiammingo con “scene di mietitura e vendemmia” del 1592, da Scilla Pecennini e Pietro d’Alessandro con “Virtù teologali e Cardinali” del 1594 ed altri autori del tardo ‘500. La struttura attuale è stata ricostruita dopo l’abbattimento, nel XIV secolo circa, del precedente abside di forma semicircolare per allargare il vano e collocare due ampi organi e il coro, quest’ultimo costruito e finemente intagliato nel 1520 da Bernardino Antonibi e Nicola di Stefano da Bologna. Al centro dell’ambiente si trova l’altare principale costruito con marmi pregiati da Valentino Martelli fra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, che racchiude la tomba dello stesso San Pietro Vincioli.

Fra le corporazioni esistenti a Perugia ce n’erano alcune di grande prestigio e che, durante gli anni, avevano acquisito enorme potere. Una di queste era sicuramente l’Arte del Cambio. Fu di così elevata influenza che quest’arte riuscì a guadagnarsi la prestigiosa sede all’interno del palazzo dei Priori, costruita fra il 1452 e il 1457. L’occupazione ufficiale era quella dei cambiavalute, ma di fatto svolgeva funzione di vigilanza sulle varie commutazioni di denaro e, laddove sorgevano discordie, il Nobile Collegio poteva esprimere parere e giudicare per ciò che poteva essere di sua competenza, fungendo quindi da tribunale a tutti gli effetti.

L’ingresso agli ambienti avviene passando dalla Sala dei Legisti, chiamata così proprio perché il Nobile Collegio del Cambio decise di affittarla al collegio dei Legisti. All’interno si possono ammirare le magnifiche decorazioni lignee affidate a Giampiero Zuccari e completate nel 1621.

Si passa successivamente alla sala delle udienze, vera e propria sede del Nobile Collegio del Cambio, che prende il nome dal fatto che i suoi componenti, potendo esprimere pareri su tematiche relative al cambio di valuta, venivano chiamati “uditori” e svolgevano il loro compito appunto in questa sala.

Le decorazioni interne vennero affidate a diversi artisti, fra i quali sicuramente il più importante è Perugino, che si occupò della parte pittorica realizzando una fra le più belle testimonianze dell’epoca rinascimentale italiana. L’arredo e le decorazioni degli ambienti vennero invece affidati a Domenico del Tasso che, fra le altre cose, realizzò il bancone ligneo e i postergali, mentre fu ordinata una statua di terracotta dorata ad opera di Benedetto da Maiano.

L’ingresso agli ambienti sopradescritti avviene da Palazzo di priori, su Corso Vannucci, prima dell’inizio di via Boncambi.

Fra le arti più prestigiose di Perugia, la più importante era l’arte della Mercanzia, i cui rappresentanti si riunivano nel Nobile Collegio della Mercanzia.

La sua costituzione è riconducibile al 1218, in epoca di piena indipendenza Comunale. Il Nobile Collegio della Mercanzia nacque in risposta all’esigenza di rappresentanza di uno dei mestieri più importanti della città. Lentamente vide accrescere la sua importanza e influenza al punto che, nel 1279, poteva designare i primi due dei dieci priori cittadini. Fra le altre importanti funzioni di controllo che il Collegio riuscì ad ottenere c’erano: la raccolta del giuramento degli ufficiali, la garanzia al capitano, la moderazione della raccolta dei tributi.

Ad oggi si conservano gli statuti del 1323, 1356 e 1599. Gli statuti regolavano un codice costituito da una serie di regole a normare il mestiere: lo ius mercatorum. Questo documento serviva a disciplinare i requisiti di ammissione e dello svolgimento dell’attività, la concorrenza, i pesi e le misure, modalità di vendita, modalità e conseguenze del fallimento, la certificazione, il lavoro subordinato e la giurisdizione commerciale. Si conservano, inoltre, le matricole degli stessi anni le quali venivano usate per annotare i nomi degli iscritti al collegio.

In seguito, il carattere di rappresentanza del Collegio venne meno, fino alla modifica dello statuto avvenuta nel 1670, a causa di una mutazione della vita politica cittadina e, soprattutto, alla vittoria del partito nobiliare supportato da Braccio di Fortebraccio. Da quel momento in poi il processo di imborghesimento dell’organo era di fatto completato, perdendo di fatto ogni tratto popolare o democratico fra gli artigiani, lasciando l’esclusiva della partecipazione ai ceti nobili.

Durante l’epoca Napoleonica la funzione dell’istituzione venne soppressa, ma il Collegio rimase in vita mantenendo tratti aristocratici fino al 1983.

La sala che ospitava il Collegio, chiamata anche in questo caso Sala delle Udienze, fu decorata nella prima metà del 1400 interamente con pannelli di legno, di pino e noce, intagliati probabilmente da maestri del nord Europa. Nella parte bassa, lungo tre dei quattro lati della stanza è ricavata una seduta intarsiata. Su una parte della parete di destra è visibile una lavorazione più articolata, spiccano il grifo Perugino, in un rosone in alto, e le eleganti arcate in basso che sovrastano il sedile a due ordini dei consoli della Mercanzia. Subito davanti si presenta un bancone intagliato da Costanzo di Mattiolo nel 1462. In fondo alla stanza è invece visibile un forziere medievale.

L’ingresso agli ambienti può avvenire dalla parte di Palazzo dei Priori che si affaccia su corso Vannucci.

La Sala dei Notari è chiamata così poiché l’Arte dei Notai di Perugia ne ha fatto la propria sede ufficiale nel 1582. Prima di questa data era conosciuta come la sala del popolo, perché prevalentemente destinata alle assemblee popolari.

Ad oggi l’utilizzo che se ne fa è principalmente artistico-congressuale. Ospita infatti riunioni, convegni, ma anche manifestazioni artistiche, teatrali o musicali.

Appena varcata la soglia d’ingresso, non si può non rimanere subito affascinati dalla bellezza che l’architettura della sala sprigiona, forse per merito delle numerose arcate a tutto sesto, precisamente otto in tutto, o per il fatto che le stesse siano integralmente decorate da dipinti.

Degli affreschi originali risalenti 1200 o 1300 purtroppo rimane poco, però la preziosa ed elegante fattura, riconducibile probabilmente al cosiddetto Maestro del Farneto, è ancora ben visibile. I vecchi affreschi sono stati integrati in molti punti da Matteo Tassi nel 1885, in altri, l’artista, si è occupato integralmente della decorazione pittorica.

Le pareti Intorno alla sala raffigurano principalmente storie e leggende, con l’impressione di stemmi appartenenti alle diverse cariche cittadine, fra cui il podestà, il capitano del popolo e, perfino, quello di Braccio di Fortebraccio.

L’ingresso alla sala dei Notari è situato sulla facciata di Palazzo dei Priori rivolta verso piazza IV Novembre, di fronte alla Cattedrale di S. Lorenzo.

Il Palazzo dell’Università Vecchia si trova sul lato orientale di Piazza Matteotti, chiamata anticamente piazza Sopramuro, adiacente al Palazzo del Capitano del Popolo.

Fu costruito su disegno di Gasperino di Antonio e di Bartolomeo Mattioli da Torgiano nel XV secolo ed ospitò inizialmente al piano terra il committente, cioè l’ospedale di Santa Maria della Misericordia, il cui monogramma sorretto da due grifi è infatti scolpito sopra la porta che si affaccia sulla piazza.

Il primo piano venne realizzato su volere di papa Sisto IV che lo destinò a sede dello Studium Generale Civitatis Perusii, cioè l’università di Perugia, istituita originariamente nel 1266, seconda per natali solo a quella di Bologna. Ne rimase la sede fino al 1811.

La parte più estrema del palazzo dell’Università Vecchia invece ospitò il Monte di Pietà istituito, primo in Italia, nel 1462.

Non fu mai completato del tutto, come si può notare dalla facciata, ma presenta comunque pregevoli decorazioni, come le finestre a croce sul primo piano, i cui architravi sono arricchiti da alcuni versi scolpiti del Vangelo di San Matteo. Molto bello è anche il portone d’ingresso, sotto la guardia dei numerosi grifi perugini.

Le due cinte murarie di Perugia che sono state erette nei secoli per la protezione della città, hanno imposto la costruzione di numerose porte per l’ingresso nelle vie che si diramavano dal centro cittadino. Per l’esattezza ventidue, di epoche e stili diversi. Le prime che sono state costruite seguono il perimetro delle mura etrusche, in parte ancora visibili, mentre le altre si possono trovare lungo la cinta muraria di epoca medievale, costruita dal XIII secolo in poi. Partendo dall’Arco Etrusco o Arco di Augusto, risalendo il colle Sole verso il centro di Perugia, si può arrivare nel punto dove sorgeva un tempo Porta Sole, oggi ideologicamente attribuita a quello che in realtà è l’Arco dei Gigli, una delle porte di ingresso che sorgono sulla cinta muraria antica, ma costruita nel XIII secolo. Deve il suo nome allo stemma del giglio fatto apporre da Papa Paolo III. In questa zona la cinta muraria originale non è più visibile, ma proseguendo a sud per il perimetro dove questa sorgeva, si arriva a Porta Cornea (o di Sant’Ercolano). Il nome che le si attribuisce deriva dalla vicinanza con la chiesa dedicata allo stesso santo patrono perugino. Anche questa è una porta etrusca, ma che di originale ha conservato solo la base, mentre l’arco a sesto acuto è stato ricostruito nel XIII secolo. In cima a quest’ultimo si può notare un leone, simbolo dei Guelfi ad indicare la protezione che questi offrivano. Proseguendo sempre lungo la linea della cinta muraria antica, si arriva alla magnifica Porta Marzia. Costruita nel III a.C., rappresentava uno degli accessi più importanti alla città. In realtà non esiste più l’ingresso principale, perché la costruzione della Rocca Paolina avvenne proprio dove sorgevano le mura. Fortunatamente però l’architetto Antonio da Sangallo decise di salvarne l’arco incastonandolo nel bastione, grazie a questo “salvataggio” si può facilmente percepire la magnificenza e l’importanza che questa porta poteva avere al tempo. Sopra l’arco è ben visibile la riproduzione di una loggia con cinque sculture, probabilmente dedicate alle divinità, mentre sia sopra che sotto sono visibili le iscrizioni “Colonia Vibia” fatte apporre da Vibio Treboniano Gallo, imperatore Romano di origini Perugine.

Spostandosi verso ovest, anche se non c’è più un collegamento diretto da Porta Marzia, si arriva a Porta Eburnea, detta anche Arco della Mandorla. L’accostamento al frutto deriva dall’arco a sesto acuto che venne costruito in epoca successiva a quella Etrusca, alla quale l’arco appartiene. Venne infatti restaurato nel medioevo, ma la base è interamente originale, in travertino, come lo sono le mura che in questo tratto sono ben conservate. Il nome Eburnea deriva invece dall’avorio delle zanne dell’elefante, simbolo quest’ultimo del rione omonimo alla porta.

Ultima porta Etrusca è la porta Trasimena, anch’essa, analogamente alla porta Eburnea, originale fino alla base dell’arco che fu ricostruito solo in epoca medievale, anche in questo caso in sesto acuto. Il nome deriva dal fatto che è orientata verso il lago Trasimeno, ma è conosciuta anche come di San Luca o di Madonna della Luce, nomi ispirati dalle Chiese che sorgono vicine. Fu la porta preferita dalla famiglia Baglioni che, oltre ad abitare proprio in quel rione, credeva che l’arco fosse propiziatorio di buoni eventi, lo attraversavano infatti prima di scontri o battaglie.

La prima delle porte, seguendo il nostro giro, costruita sulla cinta muraria medievale è Porta Santa Susanna. Sorge nella parte ovest della città e dà il nome all’omonimo rione, ma a sua volta lo eredita dalla chiesa di Santa Susanna, successivamente diventata la cripta di San Francesco al Prato. La porta è stata costruita intorno al XIV secolo e sovrasta la strada che nel medioevo rappresentava un’importante via di comunicazione con Perugia, collegandola infatti con la Toscana e con il lago Trasimeno, dalle cui acque riprende probabilmente il colore blu dello stemma.

Proseguendo verso nord, questa volta seguendo il perimetro della cinta medievale, superando il quartiere di Elce e le università, si arriva alla parte più settentrionale della città, segnata dalla Porta Sant’Angelo che prende il nome dall’Antichissima chiesa di San Michele Arcangelo, da cui prende anche lo stemma, ripreso poi dall’omonimo rione, cioè due ali e una spada, su sfondo rosso a simboleggiare le fiamme.

Trovandoci di fronte all’arco si ha subito una sensazione di imponenza. Si tratta infatti della porta medievale più grande della città. Costruita in tre momenti differenti, impiegando materiali diversi ogni volta. La base è fatta in pietra arenaria, nel 1326. Il secondo livello fu voluto dall’abate di Montemaggiore, verso la fine del XIV secolo, ed è in pietra calcarea. Il terzo livello fu costruito da Fioravanti in laterizio fra il 1416 e il 1424, su ordine di Braccio Fortebraccio che lo volle far diventare un cassero, compreso di feritoie, botole o piombatoia.

Restaurata negli anni 90 del secolo scorso, è stata sede del Museo delle Mura Urbiche, fino al 2016, mentre oggi ospita un percorso didattico musicale chiamato “Musica, un’esperienza tutta da sentire”.

Proseguendo il nostro percorso lungo le mura medievali, salendo leggermente, per poi scendere e spostarci verso est, si incontra non molto lontano l’Arco dello Sperandio. Piccolo accesso alla città, anche questo di costruzione medievale, con un’iscrizione gotica in cima all’arco, prese il nome dal vicino monastero femminile, che a sua volta si chiamava così per via di una scritta all’entrata “Spera in Deo 1696” ancora visibile.

Scendendo verso sud, lungo le mura perfettamente conservate, si giunge alla Porta del Bulagaio, di costruzione relativamente recente (1765), restaurata nel 2013. Il nome, parola dialettale umbra ad indicare confusione/caos, non è di chiara origine.

Si risale a questo punto alla fine di Corso Bersaglieri, fino alla Porta di Sant’Antonio, commissionata anche questa dall’Abate di Monmaggiore fu costruita nel 1374 come estremità della fortezza papale di Porta Sole. Servì da ingresso ai bersaglieri che liberarono la città dal dominio papale, come ricorda la targa apposta sull’arco. Questo evento diede il nome alla strada che si apre dopo l’arco, Corso Bersaglieri appunto, che se ripercorsa nella sua strada parallela, conduce a Porta Pesa o Arco dei Tei. Anche questa facente parte del Borgo di Sant’Antonio, come la precedente e omonima porta, costituisce ad oggi un’importante via di accesso alla città. Realizzata con arco a sesto acuto nel XIII secolo, prende uno dei nomi dall’antica famiglia gentilizia che abitava nelle vicinanze. Oggi però è molto più conosciuta con un altro nome, Porta Pesa, per la bascula comunale sulla barriera daziale che un tempo vi fu collocatala proprio a ridosso.

Il giro prosegue, sempre verso sud per le mura medievali, fino ad arrivare a Porta Santa Margherita, che anche in questo caso deve il nome al vicino edificio religioso, il monastero benedettino femminile. Nella parte destra la porta si appoggia su un bastione, residuo di un’antica fortezza del ‘500.

Proseguendo sempre verso sud, in linea con la parallela Corso Cavour, si giunge a Porta San Girolamo, collocata proprio in prossimità del Cinema Zenith, un ex convento Francescano. Venne eretta nel XV secolo, ma fu ricostruita alla fine del XVI secolo su commissione del Cardinale Alessandro Riario, (da cui deriva il nome alternativo: Porta Alessandrina), durante il regno di Gregorio XIII, come ricorda l’iscrizione sulla porta. Oggi conosciuta anche perché è il punto di partenza della celebre Marcia della Pace.

Continuando si giunge alla parte più a Sud della città, dove molto vicini sorgono l’Arco di Braccio e la Porta di San Costanzo. La prima costruita nel 1250, rappresentava un’importante via di percorrenza cittadina, presentava ai suoi lati due bastioni. Il nome, come intuibile, è dedicato al condottiero perugino Braccio Fortebracci, che soleva effettuare esercitazioni militari nelle vicinanze. Oggi l’arco è inglobato nel complesso del monastero di San Pietro, in quanto non più utilizzato da quando fu sostituito con la seconda porta, quella di San Costanzo. Quest’ultima iniziata a costruire su commissione dei monaci benedettini nel 1587, ma ultimata solo in seguito, quando appunto l’arco di Braccio venne dismesso, non raccolse mai il favore del popolo, forse perché fece ripetutamente da ingresso ad eserciti invasori o oppressori (sono numerosi i casi di armate entrate in protezione dello stato pontificio, contro il popolo di Perugia).

Risalendo da questo punto Borgo XX Giugno, all’inizio di Corso Cavour si trova Porta San Pietro. Importantissima via dì accesso alla città, si alza maestosa fra due delle vie più belle di Perugia. Fu costruita in più frangenti. La facciata rivolta verso il centro storico infatti risale al ‘300 e in cima, in una nicchia, si può notare un dipinto raffigurante la Madonna del Rosario fra i santi Francesco e Domenico, mentre la più recente è stata fatta verso la fine del ‘400 da Agostino di Duccio e Polidoro di Stefano, a volere una forma stile “Arco di Trionfo”, con due torri laterali a rinforzare la struttura.

Continuando verso nord, sempre percorrendo le mura medievali, si arriva alla Porta di Santa Croce o dei Tre Archi. Molto conosciuta dagli umbri in quanto è un punto di riferimento urbano soprattutto per la circolazione in automobile. Prende il suo nome anche in questo caso dall’adiacente Chiesa San Giuseppe, un tempo Chiesa di Santa Croce. La porta venne restaurata nel 1857, date le sue cattive condizioni strutturali.

Poco vicino, in direzione del centro storico, troverete l’Arco dei Funari. Costruito nel XIII secolo. In questo caso il nome è dovuto al mestiere che veniva svolto all’epoca nelle botteghe adiacenti, cioè quello dei cordai. Con il passare del tempo, a causa della perdita di importanza del passaggio che rappresentava, passò in secondo piano, tanto da vedersi ridurre l’altezza dai successivi strati di pavimentazione costruiti negli anni a venire.

Spostandovi verso ovest, accedendo da Via Luigi Masi, seguirete la vecchia linea delle mura che in questo tratto non sono più visibili e arriverete alla Porta Crucia, detta anche porta Eburnea Nuova. La versione originale di questo arco risale al XIII secolo, quella che però è possibile vedere oggi è la ricostruzione fatta nel XVI secolo. Il materiale utilizzato è quello delle mura etrusche, cioè il travertino, insieme però ai mattoni rossi. La placca situata in cima rivela il committente della porta, cioè il governatore pontificio Antonio Santacroce. Il passaggio di questa porta veniva utilizzato molto per il trasporto del pesce dei pescatori del Lago Trasimeno, tanto che la via che la attraversa prese proprio il nome di Via del Pesce.

Seguendo il tratto di mura, in questo caso ancora visibili, si giunge all’ultima porta della cinta medievale, la Porta di San Giacomo. Piccolo arco a sesto acuto, costruito originariamente nel XIII secolo, prende il nome della Chiesa di San Giacomo, che era situata nelle vicinanze.

Palazzo Antinori Gallenga Stuart, più comunemente conosciuto come Palazzo Gallenga, è oggi sede della prestigiosa Università degli Stranieri di Perugia.

Da qualsiasi punto della città si provenga, Palazzo Gallenga genera una sensazione di piacevole stupore alla sua vista. Con la sua architettura tardo barocca acquisisce uno stile elegante, slanciato e brillante, da non sembrare mai banale alla vista. La facciata principale è rivolta su piazza Grimana e si presenta su tre livelli, tutti finemente e attentamente ornati. Il materiale utilizzato è il laterizio, l’avancorpo centrale è stato costruito con travertino, adoperato anche per decorare la parte superiore delle cornici delle finestre. Al centro si nota un magnifico portale, ai cui lati si ergono quattro colonne doriche a sorreggere anche un balcone che vi si adagia all’altezza del livello superiore.

Fu costruito su commissione di Giuseppe Antinori nel 1737, su progetto dell’architetto Francesco Bianchi. L’opera venne completata dal figlio di Giuseppe, Girolamo, che chiamò l’architetto Pietro Carattoli.

La famiglia Antinori abitò il Palazzo fino al 1855, per poi venderlo a Pietro Martinori, che a sua volta lo vendette a Romeo Gallenga. Quest’ultimo lo acquistò per andarci ad abitare con la futura moglie, Mary Stuart Montgomery. Ogni proprietario ne personalizzò le decorazioni interne, senza stravolgere quelle già esistenti. Durante il periodo di proprietà di Martinori, che lo comprò solamente per ragioni speculative, venne commissionata a Domenico Bruschi nel 1862 una decorazione a celebrare l’Unità d’Italia in un ambiente del mezzanino, rappresentante anche lo scudo dei Savoia e lo statuto Albertino. Successivamente sotto i Gallenga fu affidata all’artista perugino Matteo Tassi la decorazione pittorica della sala da Ballo, che dipinse ispirandosi alla sala delle udienze del Nobile Collegio del Cambio. Oggi questa sala si chiama “Sala Goldoniana” in onore del commediografo il cui padre era medico della famiglia Antinori. Pare, infatti, che da ragazzo egli frequentasse molto questi ambienti in cui, occasionalmente, si esibì recitando.

Gli interni di Palazzo Antinori Gallenga Stuart sono in generale finemente decorati. Al primo piano una serie di busti di divinità e dettagli di rocaille, mentre al secondo piano c’è una serie di decorazioni affrescate e varie tele datate 1792, rappresentanti paesaggi e ruderi. Le decorazioni delle sale, curate da Petro Carattoli, si sviluppano a temi partendo dal Tempo, con il vecchio Saturno e la clessidra, per poi proseguire con le Quattro Stagioni, fino all’ultima sala dove viene rappresentato lo stemma della famiglia Antinori.

Di più recente origine, ma di grande valore, è la realizzazione di un dipinto murale da parte di Gerardo Dottori, uno dei più importanti esponenti dell’Aereopittura futurista, che venne chiamata La luce dell’antica Madre, raffigurante Enea che da un’imbarcazione guarda il Colosseo mentre dei lavoratori sono impegnati nella costruzione di un’opera in muratura.

Il teatro non è stato immediatamente intitolato a Francesco Morlacchi. Il nome gli venne affidato infatti solo dopo il grande restauro che l’ha visto come protagonista nel 1874, ad opera di Guglielmo Calderini. Pochi decenni prima era infatti morto il musicista perugino, di fama internazionale. Nato nel 1784, Francesco Morlacchi dimostrò subito grandi doti da compositore che lo portarono ad approfondire gli studi a Napoli nei primi anni dell’1800. Una serie di successi, acquisiti nel centro Italia, lo portarono a vincere il posto di maestro di cappella ad Urbino, fino ad accrescere la sua fama anche a livello internazionale e ad essere nominato maestro di cappella dell’Opera italiana a Dresda, in un periodo di cultura politica conflittuale, quando la Deutsche Opera si stava affermando e una sua diffusione rappresentava anche una tematica di interesse politico. Proprio per questo Morlacchi fu spesso contestato dalla critica, che lo vedeva come simbolo di uno spirito compositivo antico, non progressivo come il cambiamento che l’epoca richiedeva. Morì ad Innsbruck nel 1841, proprio durante un viaggio verso Perugia per motivi di salute. Venne sostituito nel suo ruolo di Kapellmeister da Richard Wagner.

Fu proprio la sua consolidata fama e il prestigio acquisiti nel tempo che spinsero l’Accademia perugina ad intitolare l’appena rinnovato teatro con il suo nome.

Il Teatro Morlacchi però venne costruito circa un secolo prima, inaugurato esattamente il 15 agosto del 1871 con il nome di teatro Civico del Verzaro e una capienza di 1200 persone. Fu commissionato dalla borghesia cittadina, quasi ad affermare la sua forza in risposta alla costruzione del Teatro del Pavone da parte della nobiltà perugina. Lo costruì l’architetto perugino Alessio Lorenzini, che dovette dare prova del suo ingegno per adattare la struttura al piccolo spazio a disposizione, dove prima sorgeva un vecchio convento.

L’attività del teatro fu sin da subito frenetica e laboriosa, ospitando attori molto importanti, come Irma Gramatica e Oreste Calabresi. L’avvento del fascismo e la conseguente massiccia censura culturale fecero cadere il teatro in una sorta di apatia produttiva, stato che raggiunse il suo massimo nei primi anni dell’occupazione tedesca, dove lo stabile veniva utilizzato esclusivamente per intrattenere le truppe del Reich con spettacolini di basso livello. Quando l’Accademia ne riprese possesso, nel 1942, dovette fare i conti degli ingenti danni provocati alla struttura, decidendo quindi di cedere il teatro all’amministrazione comunale che nei primi anni del 1950 finanziò un completo restauro, fino ad ottenere l’edificio che ad oggi è visitabile.

Il Grifo e Il Leone sono entrambi simboli di Perugia. Mentre il primo è più legato alla storia della città in sé, come a celebrare il sacro e il profano che hanno da sempre accompagnato Perugia, il secondo è riferibile ai Guelfi, la fazione che in quel periodo storico tendeva principalmente ad appoggiare il potere papale. Entrambe le figure sono state raffigurate in sculture di bronzo oggi collocate nell’atrio di Palazzo dei Priori, visibili immediatamente all’ingresso, sulla sinistra.

Prima che venissero portate all’interno del palazzo erano state poste sopra la porta Nord di palazzo dei Priori che da accesso alla Sala Dei Notari. Oggi, quelle visibili nella facciata sono una copia collocata dopo la ristrutturazione del 1966.

Inizialmente si pensava fossero di realizzazione Etrusca, poi però vennero attribuite ad Arnolfo Di Cambio che li realizzò nel 1218 per essere inseriti nell’architettura della Fontana degli Assetati. Quando questa venne smontata, i due simulacri vennero portati nel Palazzo del Podestà e mostrati solo durante la processione dedicata a S.Ercolano, che pare fosse il patrono più vicino alla simbologia del Grifo. Il Grifo e il Leone dal 1301 fino al 1966 sono rimasti ad abbellire la facciata del palazzo, mentre oggi sono facilmente visitabili entrando dall’ingresso principale del Palazzo dei Priori di Perugia.

E’ per Via Maestà delle Volte che passerete se deciderete di percorrere Piazza IV Novembre sulla parte sinistra, diretti in Piazza Morlacchi o Piazza Cavallotti.

Vi sembrerà di tornare indietro nel tempo mentre percorrete quei pochi passi necessari ad attraversarla, mentre, sulla vostra sinistra, vedrete la Fontana di Via Maestà delle Volte.

Costruita nel 1928, quindi abbastanza recente, sembra però ben inserita in quel contesto storico in cui vi troverete a passeggiare, se non fosse per l’iscrizione che riporta letteralmente “XX sec.”.

Progettata dall’architetto Pietro Angelini, fu costruita proprio sotto un arco di uno dei vecchi edifici che popolano il vicolo. Il nome, sia della fontana che della via, deriva da un dipinto eseguito nel 1330 circa, sotto una volta del palazzo del Podestà, che sembra fosse stato fatto per allontanare i malfattori da quella strada, un tempo più buia e angusta. Successivamente nel 1335, per proteggere il dipinto, venne costruito l’oratorio della Maestà delle volte, distrutto però in un incendio, fu eretto nuovamente nel 1567. Ad oggi all’interno si conserva ancora il dipinto originale.

Sarete ormai stanchi, avete girato in lungo e il largo Corso Vannucci con i suoi musei, magnifici palazzi e imponenti chiese, e state cercando un posto per riposarvi, per rilassarvi un attimo, ma senza perdere l’occasione di ammirare ancora una volta qualcosa di unico. Percorrete, allora, Corso Vannucci fino alla fine e giungerete ai Giardini Carducci. Li troverete immediatamente dopo il palazzo della provincia, dove un tempo sorgeva parte della Rocca Paolina. Al centro è situato un monumento al Perugino e i busti di Giosuè Carducci, Orazio Antinori, Galeazzo Alessi, Guglielmo Calderini e del Pintoricchio.

 

“…Cosí fece in Perugia. Ove l’altera
Mole ingombrava di vasta ombra il suol
Or ride amore e ride primavera,
Ciancian le donne ed i fanciulli al sol.

E il sol nel radiante azzurro immenso
Fin de gli Abruzzi al biancheggiar lontano
Folgora, e con desío d’amor piú intenso
Ride a’ monti de l’Umbra e al verde piano.

Nel roseo lume placidi sorgenti
I monti si rincorrono tra loro,
Sin che sfumano in dolci ondeggiamenti
Entro vapori di viola e d’oro.

Forse, Italia, è la tua chioma fragrante
Nel talamo, tra’ due mari, seren,
Che sotto i baci de l’eterno amante
Ti freme effusa in lunghe anella al sen?

Io non so che si sia, ma di zaffiro
Sento ch’ogni pensiero oggi mi splende,
Sento per ogni vena irmi il sospiro
Che fra la terra e il ciel sale e discende…”

 

Così scriveva Giosué Carducci quando, nel suo periodo di permanenza a Perugia, le sue soste nei giardini oggi a lui intitolati ispirarono i versi del “Canto dell’Amore”, di cui sopra è riportato un estratto. Il poeta ripercorre nell’Ode la sete di potere e controllo che avevano portato Papa Paolo III a costruire la Rocca Paolina, per sopprimere e schiacciare ogni possibile moto perugino. Come spiega nel canto, il “…popolo è..un cane…E i sassi addenta che non può scagliare…E specialmente le sue ferree zanne Gode ne le fortezze esercitare…”, così i perugini si sono ripresi i loro spazi, sradicando simboli di potere per donarli di nuovo al sorriso dell’amore e della primavera. Dove sorgeva la fortezza, ora cresce erba e germogliano fiori.

Bene, qua potrete prendervi un po’ di relax e sostare al verde, ma rimanendo sempre nel centro più antico della città. Potrete decidere di appoggiarvi alla balaustra e godervi il panorama della parte sud di Perugia, scrutando la rete delle ultime case che lentamente si dirada fino a perdersi immersa nel verde della vallata Umbra. Se passerete di lì al tramonto, assisterete ad uno spettacolo unico, con l’ultimo sole ad illuminare il verde in lontananza e a dorare con gli ultimi riflessi il travertino della città.

Magari riuscirete a sentirvi come il poeta, con il respiro incerto dall’emozione.

I Giardini Carducci sono un luogo molto frequentato, sia da turisti che da locali, ma non si presentano mai troppo affollati e riescono sempre a regalare al visitatore un momento di pace.

Partendo da Piazza Italia, percorrendo fino in fondo Corso Vannucci, lasciandoci sulla sinistra la Fontana Maggiore e la Cattedrale di S. Lorenzo (non senza prima essersi fermati per una meritevole visita), piombiamo dritti in Piazza Piccinino, contornata da antiche costruzioni e con la vèra cinquecentesca del Pozzo Etrusco che, dalle profonde e antiche viscere della sua cisterna, spunta solenne al centro del mattonato. Da XVI secolo in poi la storia di questo straordinario esempio di ingegneria idraulica è sempre andata di pari passo a quella del palazzo nobiliare che si trova esattamente di fronte. Il proprietario del Palazzo diveniva automaticamente proprietario del Pozzo, alla cui cisterna si accedeva proprio attraverso gli scantinati. Anch’esso cinquecentesco, Palazzo Sorbello prende il nome dalla famiglia che lo detiene dalla fine del Settecento, i Bourbon di Sorbello, oggi – dopo alcuni episodi di ibridazioni dinastiche – Ranieri di Sorbello.

La storia del Palazzo, che avrete modo di scoprire visitando la sua pregevole Casa Museo, si interseca e si confonde con quella della famiglia. Una famiglia “straniera”, non perugina di origine. I Bourbon di Sorbello erano infatti un ramo dei Bourbon del Monte, gloriosa casata che a partire dal XII secolo guadagnò fama e potere in tutta l’Italia centrale, anche per via della loro leggendaria pretesa di discendenza dalla stirpe borbonica dei reali di Francia. I Sorbello, marchesi titolari di un piccolo feudo situato al confine fra lo Stato Pontificio e il Gran Ducato di Toscana (più o meno lo stesso confine che intercorre oggi fra Umbria e Toscana), si trasferirono a Perugia solamente all’inizio del Settecento.

Forse stanco di risiedere nel suo sontuoso ma isolato Castello di Sorbello, situato in cima a una collina boscosa dell’odierna provincia di Arezzo, il Marchese Giuseppe I decise di trovare nuovi stimoli e nuovi business nella città più importante e fiorente della zona, utilizzando come dimora una casa ricevuta in dote da sua moglie Marianna Arrigucci, illustre perugina. Fu suo figlio Uguccione III – o meglio, uno dei suoi sedici figli – ereditario della reggenza del marchesato, che acquistò Palazzo Sorbello, appartenente all’epoca alla famiglia degli Eugeni-Oddi. Con il fiuto del grande uomo d’affari approfittò di una grave crisi finanziaria dei proprietari per scambiare la modesta residenza materna con quello che era uno dei palazzi più prestigiosi e in vista della città. Oltre alla sua pregevole fattura, c’era un motivo specifico per il quale il Palazzo era così famoso: all’interno di una delle sue stanze soggiornò nel 1734 nientedimeno che Carlo III di Borbone, Re di Spagna e delle due Sicilie. Durante la Guerra di successione polacca Carlo III scese in Italia per rivendicare il possesso dell’Italia meridionale, passando per Perugia, città alleata. Il suo ingresso in città, con al seguito la sua corte e il suo immenso esercito, fu memorabile, e tra tutti i palazzi a disposizione scelse proprio quello che qualche decennio dopo sarebbe diventato Palazzo Sorbello. All’interno del percorso guidato della Casa Museo passerete infatti in sala “Carlo III”, presumibilmente utilizzata come camera da letto dal Re spagnolo, dopo il passaggio di proprietà ristrutturata come un elegante e spazioso salone.

Il Palazzo, essendo a tutt’oggi proprietà privata dei discendenti della famiglia, non è visitabile per intero, ma gran parte del piano terra e del piano nobile sono accessibili al pubblico proprio grazie all’attività della Fondazione Ranieri di Sorbello, che circa una decina di anni fa ha inaugurato la Casa Museo di Palazzo Sorbello. L’esposizione riunisce una parte delle collezioni raccolte dalla famiglia dalla seconda metà del Settecento in poi, in particolare dalla generazione di Giuseppe I e dei suoi sedici figli, una delle più importanti e prospere della storia dei Sorbello. Pezzo clou della collezione è la consistente biblioteca, che nasce proprio in quel periodo, con più di 26 mila volumi, alcuni dei quali risalenti al XIV secolo. Il percorso di visita è guidato e lascia spazio, nel finale anche ai più recenti personaggi che hanno fatto parte della famiglia come Romeyne Robert, di origini americane e famosa per le sue grandi doti imprenditoriali, e Uguccione Ranieri di Sorbello, suo figlio, eclettico ed eccentrico diplomatico protagonista del panorama intellettuale del secondo Dopoguerra, sia in Italia che negli Stati Uniti. Un appassionante percorso per conoscere la Storia attraverso le storie di questi personaggi e i luoghi che hanno frequentato. Non un luogo qualsiasi, ma la loro Casa. Il luogo più importante di tutti, dove si nasce, si cresce, si piange e si ride. Dove si è sé stessi e dove più di tutti gli altri luoghi si lascia la traccia del proprio passaggio, a Palazzo Sorbello così riconoscibile e nitida che vi sembrerà di tornare indietro nel tempo.

In uscita dal centro storico se percorrerete la scalinata di via Sant’Ercolano, una volta in fondo vi troverete proprio alle spalle di Palazzo della Penna, al quale potrete accedere semplicemente aggirando lo stabile da viale Indipendenza. Davanti a voi si presenterà un magnifico edificio cinquecentesco, il cui ingresso è segnato dall’imponente portone in legno.

Questo palazzo nel XVI secolo fu la residenza della famiglia degli Arcipreti della Penna, costruito sui resti di un vecchio anfiteatro romano.

Fu proprio Ascanio della Penna, nel XVII secolo, ad iniziare la collezione di opere d’arte presenti all’interno del palazzo, che però subì una ricollocazione in altre sedi espositive alla fine del XIX secolo.

Ad oggi comunque il museo ospita una vasta collezione dell’artista tedesco Joseph Beuys e del famoso pittore futurista perugino Gerardo Dottori, noto anche per aver partecipato alla creazione del “Manifesto dellAeropittura Futurista”, redatto nel 1929 a celebrare il mito della modernità.

In fondo a via Dei Priori, in quella che un tempo fu proprio Piazza degli Oddi, sorge Palazzo degli Oddi, oggi sede dell’omonimo museo gestito dalla fondazione Marini Clarelli Santi.

Una splendida costruzione eretta nei primi del ‘500, su volontà di Guido degli Oddi, esponente di quella che al tempo era una delle famiglie aristocratiche più potenti di Perugia e fra le più illustri della penisola. Si ritiene che i degli Oddi furono di origine Ungarica e vennero in Italia al seguito di Federico I di Svevia. In epoca comunale godevano di grande prestigio in città essendo anche a capo di diversi feudi nella campagna intorno a Perugia. Vennero ricordati anche perché protagonisti di un’aspra rivalità con la famiglia Baglioni, che invece rappresentava le famiglie “popolari”, la quale terminò con la schiacciante vittoria su tutti i fronti di quest’ultima e con il conseguente esilio dei degli Oddi e la confisca dei loro beni cittadini, dei quali però si riappropriarono grazie all’intervento papale, da sempre in contrasto con la famiglia Baglioni per il controllo della città.

Dell’originale Palazzo degli Oddi, oggi casa museo, purtroppo rimane solo il piano terra, più precisamente il salone magnificamente affrescato con opere seicentesche che ospita una importante collezione d’arte composta da dipinti, disegni, stampe, cartoline, francobolli e arredi antichi.

Ad esprimere interesse nel collezionismo fu per primo Angelo degli Oddi, che raccolse circa 69 dipinti e 35 disegni. Il figlio Francesco volle continuare questa attività, che curò con un’importante opera di catalogazione e allargando la collezione con l’acquisto di altre opere, fino a comporre un’eredità formata da 210 dipinti e 1268 disegni.

Il palazzo è sempre rimasto proprietà degli eredi degli Oddi, fino all’ultima rappresentante del ramo portatore del nome, cioè Maria Vittoria degli Oddi (deceduta nel 1942), sposata con Luigi Marini Clarelli.

Palazzo Baldeschi, situato proprio al centro di Corso Vannucci, non passa di certo inosservato passeggiando per il corso di Perugia. Si presenta con una forma irregolare, quasi a seguire la linea della piazza. Non è frutto di uno scherzo architettonico, ma è semplicemente il risultato di un accorpamento delle abitazioni che lo hanno preceduto.

L’antico agglomerato rinascimentale ha lasciato segni architettonici ancora visibili oggi. Vi abitava, nella metà del XIV secolo, il celebre giureconsulto Baldo degli Ubaldi, detto Baldeschi appunto. Il nucleo, formato inizialmente da diverse unità abitative collegate fra di loro, crebbe grazie anche all’opera degli eredi di Baldo. Sembra invece che il piano terra fosse interamente destinato ad attività commerciali.

Verso la fine del XVI secolo quello che prima era un agglomerato scomposto, venne unificato in un edificio omogeneo, ma i lavori di decorazione e abbellimento continuarono anche negli anni successivi.

Nel 2002 il palazzo è stato acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia al fine di “destinarlo ad una funzione di costante promozione culturale e di stimolo alla crescita civile della comunità locale”, dandone di fatto una destinazione museale. Palazzo Baldeschi è stato infatti di recente restaurato e ospita varie opere d’arte, distinte in due collezioni. La prima composta da dipinti e sculture di artisti umbri, visitabili tramite un percorso suddiviso in maniera tematica, dando rilievo alle varie scuole che hanno dato prestigio alla regione. Sono presenti i massimi esponenti della scuola Perugina, come Il Perugino e il Pinturicchio, la scuola folignate, con l’Alunno (Nicolò Liberatore), oppure la scuola gualdese, con il suo maggior esponente Matteo da Gualdo.

La seconda collezione è invece dedicata alle maioliche rinascimentali, composta da un totale di 147 manufatti provenienti da diverse raccolte.

Degna di nota inoltre è la Sala delle Muse, con il suo soffitto finemente affrescato da Mariano Piervittori, risalente alla metà del XIX secolo.

L’oratorio di Santa Cecilia si trova a Perugia lungo la via dei priori. Fu costruito fra il 1687 e il 1690, insieme alla vicina Chiesa di San Filippo Neri. Può essere considerato l’unico edificio in pieno stile barocco della città. Disegnato da Pietro Baglioni veniva adibito anche come sala musicale, seguendo la regola dei Filippini.

L’interno dell’oratorio è decisamente suggestivo, grazie alle molteplici decorazioni architettoniche e le diverse curve disegnate dalle pareti, in una delle quali vi è una tela di Carlo Lamparelli del 1688 che raffigura La Madonna col Bambino e Santa Cecilia.

Dopo la frenetica attività che vide protagonista l’edificio durante il ‘700, molto lentamente questo venne lasciato ad uso di eventi minori, fino a cadere totalmente in disuso, abbandonato ad un lento degrado strutturale.

Per fortuna l’Oratorio di Santa Cecilia è stato finemente restaurato nel 2001 e oggi ospita diversi molti degli eventi culturali, prevalentemente musicali che si svolgono a Perugia.

Il Palazzo del Capitano del Popolo si trova in posizione adiacente al palazzo dell’Università Vecchia di Perugia, con il quale condivide alcuni aspetti architettonici. Come gli archi del piano terra che si affacciano proprio in piazza Matteotti, che un tempo fu Piazza del Soprammuro, nome che prese dal grande muro di contenimento che venne costruito per ampliare e sostenere la nuova piazza.

L’edificio fu costruito fra il 1473 e il 1481 da Gasperino di Antonio e Leone di Matteo.

Il primo dettaglio che un occhio attento noterà è il magnifico portone, dallo stile simile a quello di Palazzo dei Priori. La facciata invece offre diversi stili architettonici corrispondenti a diverse epoche, a causa di interventi resi necessari dalla distruzione della facciata vecchia, andata persa durante un terremoto nel XVIII secolo.

Inizialmente il palazzo venne utilizzato, come facilmente intuibile dal nome stesso, come sede del Capitano del Popolo, poi per diverse altre funzioni governative, mentre al giorno d’oggi è sede del tribunale di Perugia. Sfortunatamente non è possibile la visita al suo interno.

Vi troverete a camminare accanto all’elegante Palazzo Donini alla fine di Corso Vannucci, provenendo da piazza IV Novembre e prima di Piazza Italia

Costruito fra il 1716 e il 1724, la sua realizzazione fu attribuita a Pietro Carattoli e commissionata da Filippo Donnini, che lo vendette al comune di Perugia nel XIX secolo.

Lo stile architettonico ricorda quello toscano del XVI secolo, all’interno invece sono presenti varie decorazioni di artisti perugini del XVIII secolo, come il dipinto di Giove fulminante il Cocchio dell’Orgoglio o gli stucchi dipinti di Francesco Appiani oppure come la decorazione della Sala del Caminetto, di Pietro Carattoli e Giacinto Boccanera.

Oggi il Palazzo Donini ospita la presidenza della Giunta regionale.

Il Teatro del Pavone venne edificato su commissione della nobiltà perugina, fra il 1717 e il 1723 (inizialmente si chiamava “Teatro della Nobile Accademia del Casino”), in risposta alla sempre più crescente necessità di avere un ambiente adatto ad ospitare le opere e gli spettacoli che sempre più frequentemente allietavano la vita dell’aristocrazia e non solo. I piccoli teatri sparsi per la città ormai stavano stretti al pubblico, così si decise di iniziare la costruzione di qualcosa di più adeguato.

Venne scelta una posizione centralissima. Il Teatro del Pavone si trova in fatti in Piazza della Repubblica, a metà di Corso Vannucci.

La prima struttura era interamente in legno, ma venne demolita già nel 1765 perché si ritrovò subito inadatta ad ospitare i nuovi stili di spettacolo, principalmente per problemi di visibilità.

Venne così incaricato l’architetto Pietro Carattoli di progettare la ricostruzione del teatro, che questa volta fu edificato in muratura, nella classica forma a ferro di cavallo, prendendo come esempio il Teatro Argentina di Roma.

Negli anni successivi il teatro subì piccoli interventi di ampliamento, ma la struttura rimase quella che si conosce oggi. Nel 1816 venne costruito infatti un primo ordine di palchi che girava intorno alla platea e, lentamente, vennero annessi degli edifici adiacenti per degli ampliamenti strutturali, come l’allargamento della scala di accesso alla platea e l’annessione di una stanza adibita ad uso arsenale per alcune scene teatrali.

Molto ricco anche nelle decorazioni, come i parapetti dipinti da Mariotti o il sipario, dipinto da Francesco Appiani, a raffigurare “Turrena in atto di ammirare il trionfo della dea Giunone”, il cui animale simbolo era appunto il pavone che infatti diede il nome al teatro stesso.

Perugia offre un’incredibile gamma di attività e cose da fare in città, sia dentro che fuori le mura. Oltre a tutti i circuiti artistico-culturali-sociali, nei quali ci si potrebbe perdere per settimane intere, ci sono anche delle attività di puro intrattenimento. Adatte ad ogni tipo di turista. Esistono, infatti, numerosi centri di equitazione che organizzano corsi ed escursioni a cavallo. Subito fuori dal centro, si organizzano attività di sport più o meno estremi quali canoa, rafting, biking, trekking, fino all’orienteering e all’arrampicata outdoor e indoor. Tra le cose da fare nei dintorni di Perugia inoltre sarà possibile organizzare giri in mongolfiera o tour speleologici, assieme ad una vasta gamma di offerta di attività più rilassanti, come la possibilità di giocare a golf o di visitare numerosi parchi divertimento o naturalistici, come La Città della Domenica.

Numerose sono le strutture che offrono anche la possibilità di giocare a PaintBall o Laser Game.

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LA STORIA DI PERUGIA DURANTE L’EPOCA ETRUSCO-UMBRA

Purtroppo, non ci sono riferimenti precisi sull’origine della città, ma secondo alcune fonti Perugia sarebbe stata fondata dagli Achei, secondo altri da Euliste, fondatore Etrusco di Bologna (Felsina). Quest’ultima ipotesi collegherebbe la costruzione della città con l’espansione del popolo etrusco nella pianura padana. Altre fonti ancora individuerebbero nel popolo degli Umbri i fondatori della città.

Quel che è certo è che Perugia sorge sul territorio a destra del Tevere, che è considerato etrusco, ma che è ritenuto essere confinante con quello degli Umbri, per questo motivo gli viene riconosciuta una doppia origine, Umbra ed Etrusca.

In epoca etrusca Perugia entra a far parte della “dodecapoli”, le dodici città confederate dell’Etruria (Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vucci, Volsini (Orvieto), Chiusi, Vetulonia, Volterra, Cortona, Arezzo, Fiesole) con lo scopo di rafforzare le alleanze commerciali, favorita soprattutto dalla sua posizione di confine.

Le forme della città si sviluppano principalmente intorno al IV secolo a.C., in piena simbiosi con il territorio circostante. Nella stessa epoca si inizia a tracciare la prima trama di vie cittadine, sulla cui base verranno poi disegnate le vie principali nel corso degli anni.

Numerose sono le testimonianze presenti ancora oggi sul territorio che provano l’importanza della città di Perugia all’interno dell’Etruria e i legami con le altre grandi città del tempo. Ad esempio, le necropoli (nota è quella di Palazzone, in zona Ponte San Giovanni, di cui fa parte il famoso Ipogeo dei Volumni) ci dimostrano i frequenti rapporti con Chiusi.

Il Museo Archeologico Nazionale Dell’Umbria custodisce numerosi reperti che testimoniano la vitalità perugina dell’epoca, con iscrizioni su pietra e incisioni su manufatti, armi e strumenti di vario genere.

Intorno all’inizio III secolo a.C. l’avanzata di Roma si fa sempre più pressante nei confronti dell’Etruria. Il tracollo degli etruschi è inevitabilmente segnato dalle numerose sconfitte, fra le quali spicca quella di Sentino (296 a.c.), detta anche la battaglia delle nazioni (dell’antichità). Combattuta da un lato dai Romani alleati con i Piceni, dall’altro dall’alleanza fra Etruschi, Umbri, Sanniti e Galli Senoni, ha sancito l’espansione e il successivo dominio di Roma su tutta l’Italia centrale.

LA STORIA DI PERUGIA ALL’EPOCA DELL’ASCESA ROMANA E DEL DECLINO ETRUSCO

La centralità di Perugia è messa nuovamente in risalto durante la battaglia del Trasimeno, una delle più importanti della seconda guerra punica combattuta, più precisamente, a Tuoro sul Trasimeno fra Annibale, a capo delle truppe cartaginesi, e l’esercito di Roma. Annibale, con grande astuzia e dimostrando spiccati doti strategiche, attaccò di sorpresa le legioni del console Gaio Flaminio, costretto ad avanzare in direzione dei soldati Cartaginesi che a loro volta stavano attraversando l’Etruria in direzione di Roma. L’agguato si trasformò presto in un massacro dove persero la vita circa quindicimila romani. È proprio all’epoca di questi eventi che si fa risalire la costruzione della cinta muraria monumentale di Perugia. Edificata con grandi blocchi di travertino per una lunghezza di circa tre chilometri, racchiude i due colli Landone e del Sole (sicuramente meritevole di menzione è il cosiddetto “arco etrusco” o “arco augusto” o “porta Pulchra”, l’unica porta rimasta integra). Le mura sono ancora in gran parte visibili e ben conservate, così come lo è il pozzo cisterna, detto “pozzo Etrusco”, situato proprio vicino piazza IV Novembre.

La completa “romanizzazione” della città inizia con l’elezione del nuovo console Paperna nel 130 a.C. che favorisce lo schieramento delle popolazioni Umbre ed Etrusche con Roma e si conclude nell’89 a.C. con l’ottenimento della cittadinanza e la conseguente annessione.

Subito dopo purtroppo Perugia, suo malgrado, si trova nuovamente protagonista di un devastante avvenimento bellico, questa volta frutto di una guerra civile romana, quella fra Marco Antonio e Ottaviano. A seguito della battaglia, Perugia (Perusia), in cui si era stabilito Lucio Antonio, fratello di Marco Antonio -che risultò sconfitto- venne incendiata e rimase gravemente segnata. Ottaviano Augusto la fece ricostruire in pieno stile romano, insignendola del titolo di Augusta Perusia, la riqualificò favorendone la rinascita e permettendone anche la futura espansione al di fuori delle sue mura.

LA STORIA DI PERUGIA DURANTE IL MEDIOEVO

I primi avvenimenti medievali a Perugia sono segnati ancora una volta da scontri bellici, questa volta tra Goti, guidati da Totila, in assedio su tutto il territorio umbro, Perugia compresa, e bizantini. Nel corso degli scontri i Perugini avevano come guida il vescovo Ercolano, che proprio in questa occasione venne ucciso (gli vennero fatte crollare le mura della città addosso dopo 40 giorni il suo corpo viene estratto, si narra in leggenda, senza segno alcuno). La battaglia vide vincitori i Goti, che si impossessarono di Perugia ma non per molto, i bizantini, infatti, qualche anno dopo riuscirono a riconquistarla. Gli anni successivi videro Perugia sempre e costantemente al centro di nuovi conflitti, questa volta con i longobardi che insediarono il territorio con violenti scontri e furono più volte vicini alla conquista definitiva della città. Conquista che non avvenne mai pienamente, l’impero bizantino, infatti, riuscì a resistere e a consolidarsi sempre di più sul territorio, compreso quello circostante, fino alla nascita del Ducato perugino.

Nel VIII secolo d.C. Perugia venne donata al papa Stefano II da Pipino il Breve che, chiamato proprio dal pontefice per arginare l’espansione dei longobardi, l’aveva poco prima liberata. La stessa sorte toccò a molte delle circostanti terre umbre, si iniziò così a delineare quello che più avanti sarà conosciuto come lo Stato della Chiesa.

LA STORIA DI PERUGIA ALL’EPOCA DEL COMUNE

Inizialmente, anche grazie alla figura del vescovo, i poteri della città vengono coordinati da un gruppo di uomini che assumono la gestione di diverse materie cittadine, dando via via origine ad un nuovo organo cittadino, chiamato” collegio dei consoli”. Questo nuovo sistema organizzativo sarà sempre più composto a rappresentanza dei cittadini (cives) e andrà a delineare il profilo di una nuova struttura di potere: Il comune.

Nel frattempo, la città di Perugia stava sviluppando una sempre più crescente indipendenza che viene ufficialmente sancita da re Enrico VI nel 1186 e successivamente dal papa Innocenzo III che riconoscerà i poteri del consolato, annettendolo, però, sotto la sua protezione.

La struttura Comunale stava continuando la sua metamorfosi fino a concentrare i poteri nelle mani di un funzionario super partes, chiamato “Il Podestà”, scelto dai milites (nobili) della cittadinanza perugina ma, comunque, coadiuvato dal collegio.

A cavallo fra il XIII e XIV secolo Perugia, dopo anni di ordine e prosperità, complice anche la guerra con Foligno, si trova di fronte ad una crisi politica. I Consoli delle Arti, con interventi di natura fiscale, iniziano a creare malcontento in città, generando una fase di instabilità fra il “popolo grasso” (ceto abbiente in rappresentanza dei mestieri più importanti) e il “popolo minuto” (composto dai piccoli lavoratori). Alla fine, il “popolo minuto” ne esce vincitore e la magistratura dei consoli delle arti viene sostituita con quella dei Priori delle Arti. Questo può essere ricordato come un cambiamento molto importante in quanto i Priori rimarranno in attività fino ai primi anni del 1800 (tranne una piccola interruzione nel XVI secolo), riunendosi in quello che ad oggi è uno degli edifici più importanti della città, Il Palazzo Dei Priori, che ospita la Galleria Nazionale d’arte.

Gli anni a seguire vengono scanditi da una serie di tumulti e un susseguirsi di reggenti nuovi e diverse distribuzioni dei poteri. Le prime lotte interne sono fra i partiti dei Raspanti e dei Beccherini, i primi espressione di quello che era il “popolo grasso”, i secondi espressione della nobiltà che lottava per riavere i vecchi poteri. In quegli anni di incertezza anche il dominio papale viene di nuovo messo in discussione, una costante della storia di Perugia che, in qualche modo, tenta sempre la strada verso una gestione autonoma.

LA STORIA DI PERUGIA ALL’EPOCA DEI POTERI E DELLE SIGNORIE

Alla fine del XIV secolo però, Perugia si ritrova in uno scontro di ben altra portata. Giangaleazzo Visconti, Duca di Milano, decide di espandere il suo dominio sul centro Italia e individua Perugia come un ottimo avamposto per la sua avanzata in previsione di un’espansione più a sud. La chiesa, di contro, non avrebbe mai ceduto la città. Il consiglio dei Priori però, il 19 Gennaio del 1400 delibera la dedizione al signore di Milano, in cambio di aiuti e promesse economiche.

Dopo poco tempo però la morte del duca Visconti determinò il ritorno di Perugia fra le città dominate dal Papa, ma anche questa finestra sarà destinata a durare poco. Qualche anno dopo, infatti, fa il suo ingresso nella storia di Perugia il condottiero Braccio Fortebracci da Montone. Da tempo si aggirava per i territori umbri depredandoli e conquistandoli, con il desiderio di entrare a Perugia e prenderne il controllo. Desiderio però inizialmente reso impossibile da Ladislao D’Angiò Durazzo, re di Napoli, che si allea con il governo popolare di Perugia, per diventarne signore della città, giurando di difenderla da attacchi esterni, quali quello di Braccio, troppo vicino ai nobili che erano stati cacciati dalla città. Braccio Fortebracci però continua a vagare intorno al territorio, aspettando il momento propizio che, in effetti, arriva nel 1414. La morte di Ladislao permette a Braccio di riorganizzarsi e assediare con successo Perugia nel 1416, da quel momento in poi, pur senza sconvolgere gli equilibri istituzionali interni, Braccio governa la città fino alla sua morte nel 1424, evento che permette poi l’ascesa dei Baglioni.

Subito dopo la morte di Fortebracci la Chiesa rimette le mani sul potere e, con l’aiuto delle famiglie interne, in particolare dei Baglioni, cerca di ristabilire l’ordine, senza stravolgere l’assetto istituzionale cittadino, ma semplicemente aumentando il controllo. Istituisce quindi le figure di un rappresentante papale ed un arbitrato, come a svolgere il compito di una sorta di magistratura superpartes. In questo contesto i Baglioni continuano la loro ascesa, riuscendo ad insinuarsi nei vari organi di controllo della città, ampliando di fatto la loro rete di potere. Da non sottovalutare comunque anche l’amicizia e l’alleanza con i Medici, soprattutto con Lorenzo il Magifico. Il potere dei Baglioni viene sempre messo in discussione dalla continua lotta interna con l’altra famiglia nobile, gli Oddi, che tentano a loro volta la scalata al potere, ma vedono stroncato ogni loro tentativo di rivolta.

Agli inizi del 1500 la Chiesa tenta di ristabilire il suo potere su Perugia che però, soprattutto con quello che è rimasto della famiglia Baglioni, tenta di resistere e, fra gli anni 30 e 40, si rifiuta addirittura di pagare alcune imposte istituite dal Papa (ad incendiare la protesta anche la famosa imposta sul sale). Questo rifiuto scatena le ire del pontefice che reagisce scomunicando Perugia. Si susseguono dei periodi di tensione nei quali la città tenta di resistere al Papa, il quale, con l’ausilio dei Farnese, ne riprende il controllo. In questi anni è talmente forte il volere dello stato della Chiesa di reclamare i suoi poteri che il papa Paolo III fa costruire l’imponente Rocca Paolina (1540-1543) come simbolo del potere papale che si imponeva verso i cittadini stessi e, nello specifico, verso la famiglia Baglioni.

Gli anni a seguire furono segnati dal dominio del Papa, con una piccola interruzione nei primi anni dell’800 con la presa del potere dell’esercito napoleonico. Questi furono periodi di appiattimento, senza una particolare crescita economica o progresso di sorta, tranne la costruzione di vari palazzi nobiliari all’interno della città. In questi secoli maturava lentamente, soprattutto dopo la ripresa del potere post-napoleonico da parte della chiesa, un animo di forte critica e di voglia di cambiamento.

LA STORIA DI PERUGIA DURANTE IL RISORGIMENTO

Dalla seconda metà degli anni trenta del 1800 a Perugia crescono i malcontenti e iniziano a nascere organizzazioni clandestine sulla scia dei venti di rivoluzione nazionali. I cittadini perugini sono infatti protagonisti della prima guerra di indipendenza, ma soprattutto della seconda, quando un gruppo di volontari decide di unirsi all’esercito piemontese lasciando Perugia indifesa subito dopo la disobbedienza allo Stato Pontificio. Questo permette al Papa di fare entrare un contingente dell’esercito svizzero dalle porte di Perugia, i cui soldati che si resero protagonisti di massacri e violenze ai danni del popolo perugino, male armato e poco organizzato, rimasto in difesa della città (si parla di 2000 svizzeri contro 1000 perugini). Questo evento è accaduto il 20 giugno del 1859 ed è ricordato con il nome di “stragi di Perugia”.

Il 14 Settembre del 1860 Perugia viene liberata dall’esercito Piemontese, costringendo gli svizzeri a rifugiarsi nella Rocca Paolina. L’annessione inizialmente avviene al regno di Sardegna,  poi divenuto regno d’Italia.

Perugia, come tutta l’Umbria, pullula inoltre di piccole attività di artigianato. I vicoli sono ancora pieni di piccoli laboratori dove mani sagge e sapienti operano e tramandano i più antichi mestieri. Il tempo sembra essersi fermato in queste botteghe che offrono la possibilità di essere visitate, come una qualsiasi dimostrazione, ma che sono vere e autentiche perché raccontano la quotidianità di questi artigiani. Fortunatamente alcuni di questi laboratori possono essere visitati da chi volesse capire e imparare certe piccole tradizioni locali. A Perugia, in particolare, sarà facile imbattersi in laboratori di artigianato di lavorazione del vetro, dell’oro, del ferro e del legno.

Come per l’artigianato, anche per gli aspetti enogastronomici, Perugia si caratterizza per una diversità di prodotti tipici incredibile. L’Umbria è terra genuina. Forti sono le piccole tradizioni locali e questo si trasmette maggiormente ai prodotti culinari. Perugia non è seconda a nessun piccolo borgo o villaggio presente sul territorio, sono infatti numerosissimi i prodotti tipici e le ricette che possono dirsi originari o, comunque, fortemente caratteristici della città. Per approfondimenti rimandiamo alla sezione dedicate, ma se vogliamo citarne alcuni non possiamo dimenticare il “Torcolo Di San Costanzo”, dolce tipicamente Perugino (San Costanzo è uno dei santi Patroni di Perugia), oppure il brustengolo (un dolce a base di farine, mele e frutta secca) o la famosa “torta al testo” (sorta di pane/pizza da farcire). Non esiste festa paesana che non abbia la torta al testo nel menù, non esiste umbro che non la conosca e non esiste visitatore che non l’abbia assaggiata!

Perugia è anche e soprattutto una città viva e dinamica, sempre piena di eventi di ogni tipo, specialmente di impronta musicale o culinaria. È ormai di fama internazionale l’Umbria Jazz, sicuramente uno dei festival musicali più importanti in Umbria e in Italia, che ha luogo in tutta la città a metà luglio. Ad ottobre, invece, Perugia si riempie nuovamente grazie al goloso EuroChocolate che colora il centro storico con eventi come spettacoli, bancarelle, dimostrazioni di vario genere, tutte al “gusto” di cioccolato. Numerosi sono i concerti gratuiti organizzati in piazza IV Novembre. Mercatini stagionali per gli angoli della città, come quello estremamente suggestivo di Natale nella Rocca Paolina. I numerosi Teatri, dei quali molti storici, organizzano un’offerta teatrale ricercata ma sempre ricca.

Aggiunto ai preferiti con successo.

Per creare il tuo itinerario avremmo bisogno di qualche informazione in più: indica dunque le date che preferisci, quanti siete e dai un valore ai tuoi interessi, così potremo iniziare a comporre la tua timeline insieme.