La Chiesa di San Francesco è uno dei più importanti siti francescani di Terni. In questo luogo sorgeva l’oratorio di S. Cassiano, che il Vescovo di Terni Rainerio donò a S. Francesco per dargli ricovero durante i suoi passaggi in città. La chiesa venne innalzata nella seconda metà del XIII secolo e, nella forma originaria, era costituita da una sola navata. Le due navate laterali vennero aggiunte nel Quattrocento, quando i Francescani ottennero dal comune la possibilità di utilizzare il materiale edilizio proveniente dalla demolizione dell’Arco del Fondanello, una struttura vicina. La pietra “sponga”, con la quale fu costruita gran parte della chiesa di San Francesco e delle due nuove navate, è un particolare tipo di travertino tipico del territorio di Terni, molto adatto all’edilizia per via della sua leggerezza, resistenza e adattabilità. Essa infatti è molto malleabile al momento dell’estrazione e si solidifica al contatto con l’aria. Proprio da questo motivo e dal suo aspetto, del tutto simile a quello di una spugna, prende origine il suo nome.
Vi basta dare uno sguardo alla facciata per capire che le due navate laterali fanno parte di un intervento consecutivo. Essa è costituita da tre blocchi: uno centrale con un portale gotico sovrastato da due rosoni, e i due blocchi laterali speculari con portali più piccoli sistemati sotto a eleganti bifore. Per la sua forte similarità con le chiese francescane di Assisi, la tradizione ha attribuito la paternità del progetto a Filippo da Campello, lo stesso architetto che seguì i lavori della Basilica di S. Francesco e di S. Chiara. Sempre nello stesso periodo fu innalzata la torre campanaria, a cui si accede dall’interno della chiesa tramite la Cappella del Cristo Morto, vicino all’altare.
Nel corso degli anni la chiesa subì vari danneggiamenti e durante la Seconda guerra mondiale un bombardamento si abbatté sul luogo, distruggendo irrimediabilmente una delle cappelle della chiesa, dedicata a S. Bernardino. Molte delle opere furono portate via dalla chiesa perché considerata non sicura. Una di queste fu la pala dipinta per l’altare maggiore da Piermatteo D’Amelia, commissionata all’artista sempre sul finire del Quattrocento. Il pittore amerino si era guadagnato molta stima dai mecenati dell’Italia centrale dopo aver affrescato il grande cielo stellato della Cappella Sistina, che Michelangelo — si dice — si dispiacque tanto di coprire. Oggi l’opera, chiamata Pala dei Francescani, è esposta nella Pinacoteca Civica della città allestita all’interno del rinnovato CAOS – Centro per le Arti Opificio Siri.
Molte delle decorazioni sono comunque rimaste all’interno della Chiesa e una di queste vale da sola la visita. Si tratta di un’opera di Bartolomeo di Tommaso che decora la Cappella Paradisi, situata alla destra dell’altare maggiore. Colpiti dalle predicazioni appassionate e colorite del francescano S. Giacomo della Marca e forse dall’opera di Dante, alcuni esponenti della famiglia Paradisi, al tempo priori comunali, vollero onorare la memoria di un loro congiunto commissionando un suggestivo giudizio universale. Nella parete centrale della cappella il Paradiso, con il Redentore giudicante circondato da angeli, santi e, poco più in basso, i committenti. Sulla parete di sinistra è raffigurato il Purgatorio, con i penitenti disposti in grotte e gironi differenti e più in alto è raffigurata la Discesa di Cristo nel Limbo. Sulla parete destra l’Inferno, che presenta Lucifero che domina i dannati, alcuni dei quali posti in buche, altri in caverne. Più in alto gli angeli gettano i peccatori dalle caverne.