Ad alcuni chilometri di distanza dal centro abitato di Preci, sul lato destro del Castello di Belforte, solcata da un piccolo corso d’acqua e impreziosita dalle cascate di “Lu Cuniuntu”, sorge una piccola valle che prende il nome di Valloncello e che si estende fino a congiungersi con la più ampia e rinomata Valle della Nera.
In tempi antichi, questo luogo suggestivo e isolato ospitava una sorgente di acque sulfuree prosciugatasi in seguito ai numerosi terremoti della zona. Ricca di piante medicinali quali genziana, centaurea e felce maschio, è situata a pochissima distanza dalla famosa scuola chirurgica preciana: la valle pacifica ed amena venne scelta come luogo ideale per la realizzazione del lebbrosario di San Lazzaro.
Secondo la tradizione fu lo stesso San Francesco a spingersi fino in zona per fondare la piccola chiesa e l’ospedale, recandosi molte volte in visita ai malati. Secondo i documenti di archivio invece, il 24 Settembre 1218, la vasta area venne concessa da un ricco feudatario locale Razzardo di Roccapazza, al monaco Bono, rettore della vicina chiesa benedettina di S. Cataldo (oggi scomparsa). Fortemente influenzato dalla predicazione del Santo di Assisi, il signorotto concesse il vasto appezzamento di terra allo scopo di costruirvi una chiesa ed un ospedale per i lebbrosi, riservando a sé stesso il solo diritto di potervi pascolare il bestiame.
Da allora molti infermi e molte famiglie vennero accolte all’interno delle mura di questa struttura, di cui rimangono oggi alcuni resti presso l’omonimo centro abitato di San Lazzaro in Valloncello.
Il lebbrosario di San Lazzaro venne soppresso ufficialmente soltanto nel 1490, con un decreto del papa Innocenzo VIII, il quale ringraziava Dio del fatto che i casi di lebbra fossero ormai diminuiti drasticamente.
La struttura ebbe una storia complessa, passando sotto la giurisdizione di vari ordini religiosi, dai monaci di Sant’Eutizio nel 1218 ai frati minori e all’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro nel 1572. Fino all’epoca moderna quando la proprietà passò alla famiglia Sorbello a metà dell’Ottocento, che poi la vendette alla famiglia dei Betti Massi di Belforte e Poggio di Croce, i quali la trasformarono in una struttura abitativa con uso agricolo.